12/05/2015

Dal successo all’oblio

Intervista ad Enzo Gentile: il celebre giornalista ha pubblicato un libro su cinque grandi artisti italiani emarginati dallo show business dopo un periodo di gloria iniziale
A volte certe storie si ripetono o comunque hanno tanti punti in comune. È quello che è accaduto ai cinque artisti di cui parla Enzo Gentile nel suo nuovo libro, Lontani dagli occhi – Vita, sorte e miracoli di artisti esemplari (Laurana, 2015).
Fred Buscaglione, Piero Ciampi, Sergio Endrigo, Nino Ferrer ed Herbert Pagani sono infatti accomunati da un destino simile, quello cioè che li ha portati in pochissimo tempo e in maniera improvvisa dal successo all’oblio.
Per questo motivo il giornalista e storico musicale, nonché docente universitario che tanto ha scritto pure per l’edizione cartacea di Jam, è andato a esaminare le loro vite così particolari e complicate. Anche Renzo Arbore ha fornito il suo contributo al lavoro con una testimonianza in cui descrive i cinque protagonisti come “personaggi baciati dal successo e poi caduti, quasi all’improvviso, in una condizione di oblio, isolamento, depressione”.
 
Lontani dagli occhi – Vita sorte e miracoli di artisti esemplari sarà presentato inoltre stasera, lunedì 11 maggio, alle ore 21 presso lo Spazio Melampo di Milano di via Tenca, 7. Saranno presenti, oltre allo stesso Enzo Gentile, anche Ricky Gianco, Alessio Lega e Paolo Pasi e interverranno Guido Baldoni e Carola Moccia.
 
Sono molti gli artisti che hanno avuto successo per brevi periodi e poi sono stati dimenticati. Come mai la scelta è ricaduta sui cinque di cui parli nel tuo nuovo libro?
Beh, questi artisti intanto li conosco perché più o meno quelle canzoni passavano in casa alla radio o alla televisione quando ero ragazzino, non li ho dovuti riscoprire nella professione “da vecchio”. Dei cinque ho conosciuto abbastanza bene solo Sergio Endrigo, infatti sono partito da lì. La sua storia mi ha molto incuriosito e poi ero interessato a capire perché si fosse ritirato.
Allora sono andato un po’ a cercare e da lì ho conosciuto sua figlia, unica erede. Lei mi ha raccontato ciò che aveva vissuto il padre e che non aveva assolutamente perso la vena artistica. Era stato solo un po’ allontanato o emarginato e allora mi sono incuriosito e ho approfondito la ricerca, ma non potevo fare un libro solo su di lui. Quello lo farà la figlia che ha molto più materiale di me e allora ho pensato: “Ma ci sono un po’ di questi casi nella musica italiana?”. Ci sono ovviamente anche nel cinema o nella televisione, ma, occupandomi di musica, ho pensato solo a quelli e ho notato che ci sono personaggi contigui. Allora mi sono cominciato a guardare le classifiche e ho pensato di parlare di personaggi “non logorati”. Di Tenco o di Battisti si è scritto tantissimo, di Rino Gaetano c’è stata addirittura una fiction e quindi ho notato che c’erano dei personaggi che potevano rientrare nel mio discorso. Allora ho trovato questi artisti che hanno tanti punti in comune per via di famiglie un po’ particolari o per il fatto che avessero altre passioni come il jazz, il cinema, la pittura… Cioè tutti hanno fatto delle altre cose, hanno scritto non solo canzoni ma hanno scritto anche poesie, libri, racconti per il teatro in una fase della loro carriera e quando questo non era di moda. Adesso tutti i cantanti fanno anche “altro”, mentre negli anni ’60 se uno cantava, cantava e basta. Invece loro andavano oltre il 45 giri o la canzone in gara in qualche Festival. Poi ad esempio ci sono due artisti italo-francesi (Nino Ferrere ed Herbert Pagani, ndr) e Piero Ciampi ha cominciato la sua carriera in Francia… Insomma c’erano stranamente dei punti di raccordo e questo mi ha fatto decidere di occuparmi di questi cinque, che potevano essere anche sette ma anche dieci, però poi ho deciso di condensare.
 
Tra la testimonianza iniziale di Renzo Arbore e la parte dedicata a Fred Buscaglione si parla anche di Renato Carosone. Avevi pensato di parlare anche di lui in maniera più specifica o no?
Sì, ho pensato a lui, Umberto Bindi, Bruno Lauzi e ho pensato anche Mia Martini. Ma poi ho preferito parlare di artisti che erano anche autori di sé stessi e quindi la loro vita entrava di più in gioco.
Sì, comunque ho pensato anche a Carosone perché a un certo punto ha uno stop, si ritira, scompare dalle scene e si dedica alla pittura. Era uno di quei casi in cui però non fu emarginato, ma decise di scomparire, un po’ come aveva fatto Lucio Battisti quando aveva deciso di smettere e di non farsi più vedere in giro. Invece questi cinque in qualche modo vengono esclusi o entrano in una fase di crisi interiore, per cui poi interrompono la carriera.
 
Tra loro Fred Buscaglione paradossalmente era forse quello più legato alla famiglia o al concetto di famiglia, nonostante i suoi testi?
Beh, Buscaglione era molto legato alla moglie anche se questo matrimonio nei mesi prima di morire era andato male e questo legame si era spezzato. Poi lavorava molto, faceva molta pubblicità e lavorò col mondo del cinema. Quella nel film con Totò (Noi duri del 1960, ndr) è la sua ultima apparizione. Con la musica però era un po’ in crisi perché non uscivano pezzi forti come tre-quattro anni prima. Per altri come Ciampi o Herbert Pagani il discorso è diverso perché hanno figli, ma non hanno voluto più rappresentare nulla dei propri genitori. Questi hanno avuto anche dei problemi con i loro genitori perché ad esempio la famiglia di Herbert Pagani è stata anche straziante per i suoi rapporti interni e tutto ciò si è riversato poi anche nel lavoro e nella dimensione artistica.
 
Buscaglione, oltre che dall’arrivo del rock ‘n’ roll, fu schiacciato anche dal suo stesso personaggio che si era creato?
Era molto forte come impronta e quindi può darsi che a un certo punto sia stato così, però fino a quel momento aveva retto bene: cioè lui non era quello che cantava, ma rappresentava molto bene quel ruolo. Non è tanto credo il rock ‘n’ roll. Lui non è mai andato a Sanremo e se ne stava lontano, perché aveva un suo mondo, un suo universo e dopo lì non sappiamo cosa sarebbe successo negli anni ’60. Magari si sarebbe dato alla televisione, ma questo non lo sapremo mai. Al cinema invece era molto richiesto.
 
Una domanda su Sergio Endrigo. A proposito del testo di Aria di neve dichiarò, come si legge in Lontani dagli occhi che il linguaggio usato era diverso per il suo “carattere austro-ungarico, che è diverso dal modo latino di affrontare certe faccende d’amore”. Perché diceva così, se poi è riuscito a conquistare il Brasile e alcuni artisti brasiliani come Vinicius De Moraes, Chico Buarque, Tom Jobim, Toquinho e poi anche Cuba?
Perché è successo dopo. Lui ha contribuito a tradurre, ha cantato, ha portato qui anche Roberto Carlos… Endrigo era istriano e negli anni ’50 quella dimensione ha influito sulla sua formazione e se l’è portata dietro. Aveva quell’aspetto che poi in realtà era “falso”, perché era una figura molto allegra, dinamica e spiritosa e non era per niente triste.
 
Piero Ciampi è l’unico tra questi artisti che forse non ha avuto particolare successo in vita, vero?
Sì, ed è anche quello che ne ha avuto di più postumo. Su Ciampi ci sono addirittura quattro documentari di cui uno su Sky uscito qualche mese fa. Piero Ciampi non ha avuto successo in vita, ma era riconosciuto dai colleghi già all’epoca. Dopo morto, è stato subito fatto un Premio per lui, perché dopo il Premio Tenco hanno fatto il Premio Ciampi. È stata una scoperta tardiva perché lui si dedicava poco a sé stesso e quindi era difficile inserirlo in contesti più commerciali.
 
Nino Ferrer ed Herbert Pagani sono i due artisti italo-francesi presenti nel tuo nuovo libro e di cui parlavi prima: c’era differenza tra come erano considerati in Italia e in Francia?
Certo, Nino Ferrer ebbe successo sia in Italia che in Francia. La pelle nera uscì prima in francese e poi in italiano. Lui era sicuramente più italiano nell’intimo, anche se poi va a morire in Francia perché si sente un po’ scaricato dall’Italia, dopo che aveva avuto successo in televisione o nei “musicarelli” con alcune canzoni. Poi va in Francia pensando di poter recuperare la sua carriera e tornando a suonare musica che aveva iniziato a fare lì come jazz e altre musiche insomma. E invece nel frattempo è cambiata l’aria anche lì e allora si va a ritirare in campagna, tra l’altro facendo delle canzoni controcorrente. Però evidentemente ha perso il treno e non riesce più a riprenderlo fino a suicidarsi.
 
Alcuni di loro furono censurati per i loro testi, vero? Citi sicuramente il caso di Endrigo per La ballata dell’ex e di Herbert Pagani per Albergo a ore. Artisti scomodi o artisti veri senza filtri?
Più che altro, siamo in un’epoca dell’Italia fine anni ’70 molto ostica e ostile verso certi linguaggi. La censura aveva maglie molto strette. È curioso poi come per esempio venne censurata Dio è morto, ma la canzone veniva trasmessa dalla Radio Vaticana e quindi c’era un po’ di confusione. Sicuramente erano personaggi poco malleabili, poco inclini al compromesso, cioè erano artisti veri che pensavano a far bene il loro lavoro e si trovavano anche sorpresi per certi atteggiamenti nei loro confronti.
 
E Buscaglione che parlava di donne, sesso, whisky o sparatorie non fu censurato?
Beh, c’era pochissima televisione e pochissima radio e quindi forse non hanno fatto in tempo!…
 
Bene. Alcuni dei cinque sono stati protagonisti anche di alcuni casi di plagio. Celebri furono ad esempio quello di Piero Ciampi, citato espressamente da Zucchero nel 1989 ne Il mare impetuoso al tramonto salì sulla luna e dietro una tendina di stelle… o quello di Sergio Endrigo, il quale non si vede riconoscere un’altra parte del merito da Luis Bacalov per la colonna sonora de Il postino (ultimo film di Massimo Troisi del 1994, ndr). Anche questo ha offuscato in parte il loro valore artistico o lo ha posto in secondo piano?
Il caso di Ciampi con Zucchero è diventato famosissimo. Sono sempre molto scivolose le questioni rispetto al plagio e si trascinano per anni. Quella di Endrigo per la colonna sonora de Il postino si è risolta un paio di anni fa e lui quindi era già morto da un pezzo e non ha potuto vivere questo momento. La cosa l’ha fatto soffrire molto. Ora non si può dire se la sua malattia sia stata psicosomatica o meno, ma sicuramente non gli ha fatto bene, da una parte per l’esclusione da televisione, giornali ecc., dall’altra perché una persona amica come Luis Bacalov con cui aveva collaborato a lungo non gli aveva riconosciuto i meriti… e poi la giustizia non aiuta e sono tutti episodi che hanno un po’ sì offuscato il loro valore artistico, ma attestano anche il valore dei personaggi di cui ho parlato nel libro… quelli che avevano plagiato erano gli altri…
 
In certi casi anche la politica aveva giocato un ruolo determinante in senso negativo per la loro carriera, vero? Hanno sbagliato a schierarsi o si sono schierati troppo e di conseguenza questa cosa non veniva ben vista?
Non era una cosa di moda all’epoca e quindi uno non lo diceva, ma magari faceva ugualmente le cose. Sergio Endrigo iscritto al PCI fino alla morte di Enrico Berlinguer era una cosa “strana” per l’epoca.
Nel caso di Herbert Pagani è diverso perché entra a piedi uniti nella vicenda degli ebrei e scrive ai potenti della Terra per trattare di questo tema. Però la politica non era così centrale, lo diventerà un po’ dopo e soprattutto non per personaggi conosciuti per le canzoni della hit parade. Saranno altri i personaggi che cavalcheranno l’onda.
 
Quelli di cui parli sono anche artisti che hanno pagato pure il fatto di essere eclettici e di occuparsi non solo di musica?
Herbert Pagani ha cominciato come radiofonico, come traduttore, poi ha iniziato a cantare e dopo ha iniziato a dipingere, ma anche Nino Ferrer… ci sono tanti punti in comune. L’eclettismo adesso è una merce quotidiana, ma all’epoca metteva forse in dubbio le qualità dei cantanti. Si diceva: “perché uno fa tante cose? Ne faccia una e basta”.
 
Spesso avevano litigato o non erano mai stati in buoni rapporti con i discografici o con lo show business. Come mai? Troppo buoni? Personaggi complicati? Artisti troppo bravi per essere capiti? Precursori dei tempi?
In quegli anni non c’era ancora la figura del manager o degli avvocati che si occupavano dei contratti e non c’erano le agenzie che mettevano i puntini sulle “i” e quindi gli artisti, dovendo gestirsi da soli, finivano anche in qualche pantano. Nel caso di Endrigo è più sintomatico e lui cambia tutte le case discografiche possibili e immaginabili in poco tempo, tant’è vero che non c’è un’antologia completa e corretta perché i diritti sono suddivisi tra più sponde.
 
Alcuni inevitabilmente per ragioni anagrafiche, ma di fatto questi cinque artisti non si sono mai incontrati, vero?
No, non hanno mai collaborato. Poi erano contigui, a parte Buscaglione morto molto presto, erano tutti contemporanei e senz’altro si saranno conosciuti. Per esempio Sergio Endrigo e Nino Ferrer che facevano tanta televisione si saranno senz’altro incontrati tante volte. Sicuramente in quell’epoca tutti si incontravano perché erano pochi, ma collaborazioni tra loro non ce n’erano state e anche questa cosa mi aveva incuriosito. Le collaborazioni non erano molto diffuse e ognuno faceva la gara a sé. I “duetti” si facevano a Sanremo, ma era il regolamento e poi si trattava in realtà di due versioni differenti di uno stesso brano.
 
Perché queste storie hanno così tanto in comune?
Perché, come ti dicevo, si sono ripetute al cinema o anche in televisione e poi lo dice Arbore: il timore più grande è quello di sentirsi dire “non è più quello di una volta” e questo stronca la carriera. Il successo spesso è passeggero e saperlo gestire e saperlo mantenere è di una certa difficoltà. Questo sicuramente attiene al mondo dello spettacolo, però nel caso specifico c’era una matrice forte sia per il successo che per la caduta. Più in alto sali e più la caduta sarà rovinosa. Si può riassumere anche così.
 
Nel tuo libro vuoi far capire anche che “l’usa e getta” nella discografia (e non solo lì) c’è sempre stato?
C’era, ma essendo meno i mezzi di comunicazione l'”usa”, se era tale, era al massimo perché c’erano uno-due canali televisivi e uno-due canali radiofonici. C’erano due manifestazioni e quindi chi arrivava lì, aveva davvero un’illuminazione straordinaria. Adesso invece, avendo cento possibilità diverse, a parte quei tre o quattro che svettano, gli altri vivacchiano, sono conosciuti ma non hanno assolutamente la popolarità che avevano gli stessi a quei tempi. Nino Ferrer per esempio girava con la Rolls Royce ed era stato fidanzato con Brigitte Bardot. E c’era effettivamente pure un’attenzione enorme da parte delle riviste o dei settimanali e non erano tanti i settimanali. Se facevi la copertina, cambiava veramente il corso delle cose.
 
Cosa si fa oggi per celebrare questi artisti? Troppo, troppo poco o niente?
Si fa molto poco, se non che ogni tanto ci sono alcuni che riprendono quelle canzoni e questo è utile alla causa. In genere i dischi di questi artisti si trovano con difficoltà e a me questa cosa fa specie perché le loro canzoni sono stranote. Basta guardare nei negozi di dischi: in quei pochi che ci sono, sono pochi e sono mal messi e le loro canzoni sono messe in brutte compilation insomma.
 
A settembre ricorreranno i dieci anni dalla morte di Sergio Endrigo. Pensi che per lui si farà finalmente qualcosa di importante, magari dando maggior valore alla manifestazione del Premio in suo onore che si è tenuta per una sola edizione?
La questione del Premio fu gestita malissimo nel 2011 e il Premio continuerà a non esserci. La figlia sta scrivendo una biografia che non uscirà per tempo e quindi boh, chi lo sa, sta provando anche con l’antologia, ma è un po’ tardi.
Siamo in una fase molto particolare del mercato e tutto si trova facilmente su Spotify e su YouTube, ma secondo me non sono i mezzi adatti per conoscere questi artisti.
Allora è bene fare spettacoli dal vivo, perché quello può sempre funzionare, però diciamo che dal punto di vista della diffusione si poteva fare molto di più in questi 30-40 anni e spesso sono uscite poche cose spesso casuali. Ormai non bisogna più stupirsi perché si fa sempre così…

 
 

 

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