Il duetto Mina Battisti: una grande storia di musica in tv
Teatro 10 rivive nel nuovo libro di Enrico Casarini
23 aprile 1972. Una delle date più memorabili per la storia della musica e più in generale del costume in Italia: Teatro 10, sul primo canale, trasmette il celeberrimo duetto tra Mina e Lucio Battisti. Un momento speciale, ancora oggi ricordato e celebrato. A mezzo secolo di distanza, Enrico Casarini torna a quell’evento con il suo nuovo libro Il duetto Mina Battisti (Minerva Edizioni), che aggiorna il lavoro realizzato per Coniglio Editore anni fa. Ne parliamo con il giornalista, firma di TV Sorrisi e Canzoni.
Enrico, nel 2009 uscì il tuo primo libro dedicato al duetto Mina-Battisti, ora esce un’edizione rinnovata e aggiornata. Cosa ti ha spinto a tornare sull’argomento?
Beh, il cinquantenario è stato una bella molla! Era l’occasione per riprendere in mano la mia ricostruzione del prima, durante e dopo il duetto, correggere alcune imprecisioni (non tante, per fortuna) e rendere ancora una volta omaggio ai tanti che fecero quell’impresa, a partire dai musicisti, i famosi Cinque amici da Milano.
Partiamo proprio da loro: gli strepitosi musicisti che per l’occasione non ebbero neanche il tempo di provare per bene…
Ah, io ho sempre avuto un enorme rispetto per i musicisti che fanno la “professione”: oscuri o famosi che siano, per me sono tutti necessari a quel gioco sublime che è la musica. Gianni Dall’Aglio, Angel Salvador, Gabriele Lorenzi, Massimo Luca ed Eugenio Guarraia sono cinque “universi” meravigliosi (ognuno di loro si è raccontato per ore, e quanto restava ancora da scoprire!), e la loro forza si coglie proprio nel fatto che la loro perfezione in quel duetto si basava su una provetta abborracciata fatta nel vagone letto che li portava a Roma da Milano (e Guarraia non viaggiava neppure con loro, perché partì da Torino!) e su un paio d’ore di prove faticose fatte in teatro prima di registrare il numero. Numero che, lo ricordo sempre, fu registrato martedì 18 aprile 1972 (bastò una sola take fatta dal vivo, senza basi o sovraincisioni) e mandato in onda domenica 23: Teatro 10 era un sublime collage di numeri “precotti” che Falqui assemblava ogni settimana.
È molto raro che un appuntamento televisivo sia così celebrato, se non mitizzato. Qual è stata la forza di quel duetto?
Il talento e la comunione d’intenti, direi. Quel duetto fu un mix imbattibile perché ci lavorarono, in semplicità e intelligenza, tanti artisti di talento. Non mi riferisco solo a Mina, a Lucio Battisti e alla band, ma anche ai tanti artefici di quel Teatro 10, da Antonello Falqui a Gianni Ferrio, dagli autori Leo Chiosso e Giancarlo Del Re al produttore esecutivo Giorgio Carnevali. E ci metto anche Alberto Lupo, il presentatore dello show: non che abbia avuto un ruolo nel duetto, ma trovo sempre tristissimo il fatto che oggi sia quasi dimenticato, lui che ai tempi era un vero “colosso” della Tv italiana.
Un passo indietro, andiamo alla storia. Di chi fu l’idea?
Anche qui ci fu un incontro di intenti. Sicuramente Mina aveva bisogno di un duetto forte per lo show. Alcuni duetti andati in onda non erano stati gran che soddisfacenti: penso a quelli con Gianni Morandi, Milva e Johnny Dorelli; convincente era stato solo il duetto con il suo “fratello d’arte” Giorgio Gaber. Mina avrebbe voluto duettare con Massimo Ranieri, ma il ministero della Difesa non permise a Ranieri, militare di leva, di partecipare…
In questa situazione, a metà marzo del 1972 Mina incontrò Battisti e Mogol a Milano per ascoltare una canzone che avrebbero voluto darle, molto probabilmente Il mio canto libero. Lei rifiutò il pezzo, ma secondo me uscì dall’incontro con l’accordo per il duetto, che infatti fu realizzato pochi giorni dopo e “di sorpresa”. I giornali davano conto di ogni mossa di Mina e ogni novità di Teatro 10, eppure nessuno aveva fatto neppure cenno a una possibile partecipazione di Battisti allo show… Sicuramente anche Battisti e Mogol colsero quell’occasione al volo: avrebbero potuto presentare in tv, di fronte a venti milioni di spettatori, I giardini di marzo, pezzo portante del nuovo album Umanamente uomo: il sogno, esattamente il giorno prima dell’uscita del disco e questo avrebbe evitato a Lucio ulteriori e sgraditi impegni promozionali in tv. La produzione di Teatro 10, infine, si vide risolvere nel modo migliore lo spinoso problema di scaletta nato dal “no” a Ranieri: Mina era sostanzialmente padrona dei suoi spazi nel suo show.
La vera diva all’epoca era proprio Mina…
Diva assoluta! Aveva alle spalle due splendide tournée teatrali con Gaber; aveva un pezzo stratosferico come Grande, grande, grande appena uscito; finalmente cantava con Battisti, che, con Mogol, le aveva donato tre capolavori come Insieme, Io e te da soli e Amor mio; infine a Teatro 10 lavorava con Gianni Ferrio e un’eccezionale orchestra con cui, alla fine dello show, avrebbe fatto una nuova stagione di concerti alla Bussola… Che cosa poteva volere di più?
Il binomio Mogol-Battisti tra 1971 e 1972 vive un autentico stato di grazia. Grandi album, canzoni anche per altri (Dik Dik, Formula 3, Bruno Lauzi, la stessa Mina), vendite importanti. Mancava davvero solo la tivù…
Beh, “mancava” per modo di dire. Non è un caso che la partecipazione a Teatro 10 del 1972 abbia segnato l’addio di Lucio alla televisione italiana (in dicembre, poi, si sarebbe congedato anche dalla nostra radio partecipando a Natale con Supersonic). Battisti non amava la dimensione televisiva, né sotto forma di “ospitata”, né (ancora peggio!) di partecipazione a una gara canora. In un’intervista di quei giorni della televisione disse: “Meglio l’olio di ricino. Non conosco nessuna tortura che la superi”. Forse l’unica trasmissione televisiva che trovò adeguata alla sua “visione” fu lo speciale Tutti insieme, andato in onda sul Secondo canale nel settembre del 1971: lì, però, Battisti e Mogol erano padroni assoluti della situazione e nessuno poteva imporre loro alcun che.
Secondo te perché Battisti non amava, oltre che la tivù, in generale la performance dal vivo?
Sono convinto del fatto che Battisti non sopportasse la pochezza dei mezzi tecnici delle esibizioni dal vivo di quel periodo. Ogni musicista che ha collaborato con lui (a partire da Gabriele Lorenzi che lo accompagnò nei suoi pochissimi concerti con la Formula 3) mi ha confermato quanto fosse eccellente non solo come cantante, ma anche come chitarrista. E il duetto lo conferma… Però cercava una perfezione che in concerto non poteva trovare: “Lo spettacolo in diretta, in Italia, non esiste, neppure a livello dei più grossi nomi, quindi non ne parliamo”, disse in un’intervista del 1970… D’altronde, anche i Beatles mollarono il palcoscenico quando capirono che dal vivo la loro musica era “zittita” dagli applausi del pubblico.
L’importanza del duetto, dal versante battistiano, è anche quella di averlo definitivamente sdoganato al grande pubblico. Effettivamente prima di allora era percepito come un cantante per giovani…
Battisti era già Battisti, ma è vero che veniva associato sostanzialmente al pubblico più giovane. Per la Rai, poi, era ancora abbastanza un marziano. Ricordo alcune testimonianze di chi “faceva” quel Teatro 10. L’autore Giancarlo Del Re: “A quell’epoca per me Battisti era uno che cantava e basta”; per Falqui era uno dei tanti cantanti che andavano in tv per promuoversi; per Carnevali (la voce della “Azienda Rai”!): “Era un contentino per i ragazzi. L’atteggiamento era da «vabbè, di questo non frega niente a nessuno»… E poi era visto come un capellone, perché all’epoca aveva un testone così, e il Canale Nazionale (l’attuale Raiuno) non amava i capelloni”. C’è altro da dire?
A proposito di Antonello Falqui, grande esperto di linguaggio e dinamiche della televisione: cosa ha aggiunto la sua regia alla forza dei due cantanti?
Falqui aveva capito perfettamente la forza di Mina e Lucio e la assecondò lasciandoli fare. Del resto l’intelligenza e il talento di un maestro stanno anche nel capire quando e come “non fare”. Piazzò le telecamere e si affidò a loro due. D’altra parte, Falqui aveva totale fiducia in Mina.
Nel tuo precedente libro parlavi di “fine del sogno italiano”, come mai?
Nella primavera del 1972 l’Italia vive una trasformazione epocale. Esce definitivamente dagli anni del Boom ed entra in una lunga flessione economica verso il basso, accompagnata da una crisi politica senza precedenti: a maggio ci sono le prime elezioni “anticipate” della storia repubblicana. In più, sono i giorni in cui esplode la violenza politica: le Brigate Rosse compiono la loro prima “azione militare” (il sequestro di Idalgo Macchiarini); viene assassinato il commissario Calabresi; l’editore Feltrinelli muore cercando di far esplodere un traliccio dell’energia elettrica; si impone la pista nera nelle indagini sulla Strage di piazza Fontana; c’è la strage nera di Peteano… Ma sono anche i giorni in cui nasce l’Italia che conosciamo oggi: iniziano a diffondersi i computer, nascono i primi grandi centri commerciali, si inizia a progettare l’alta velocità ferroviaria… Finiva il sogno del Boom, insomma, e iniziava la nostra realtà quotidiana di oggi.
A cinquant’anni di distanza il duetto è ancora gettonatissimo, anche come esempio di un modo sano e intelligente di fare tv. Secondo te cosa lo ha reso così speciale?
La sua perfetta semplicità: canzoni perfette, cantanti perfetti, musicisti perfetti, e tutto in appena otto minuti e 23 secondi, una durata perfetta anche per un video da postare su un social o su YouTube. Sembra nato oggi. E il sorriso di Mina e Lucio è lo stesso che abbiamo noi oggi quando siamo veramente felici.