04/02/2015

Alice e il suo Weekend, intervista

“La mia musica al di là del credo”. Il nuovo album della sofisticata interprete tra leggerezza, collaborazioni e malinconia
Weekend è un disco intriso di leggerezza. Una leggerezza d’animo che abbiamo voluto fortemente trasmettere: non a una ristretta élite ma a ogni ascoltatore”.
A due anni da Samsara, Alice torna con Weekend. Un album necessario e utile, oltre che bello. Necessario perché – come sostiene con decisione l’interprete forlivese – veicolo di una leggiadria dimenticata e smarrita, utile perché lucido, singolare nel making of ma anche nel suo lieve e malinconico dipanarsi brano dopo brano. Album in studio n. 18 per l’artista, Weekend è stato registrato nell’arco di un anno durante i fine settimana: come di consueto, nelle scelte artistiche di Alice e Francesco Messina fioccano collaborazioni e contributi, da Paolo Fresu all’immancabile Battiato, da Paul Buchanan dei Blue Nile (autore di Christmas) a Mino Di Martino. Pop d’arte asciutto, magnetico, con un lavoro di sottrazione che ha reso le dieci canzoni delle piccole confessioni, dei fermo immagine interiori: da L’umana nostalgia di Claudio Rocchi a Da lontano con Luca Carboni, da Tante belle cose di Françoise Hardy a Un po’ d’aria dei Soerba, Alice si riconferma interprete sofisticata e voce ideale per cantare il sacro in musica, la nostalgia e l’inquietudine esistenziale con sobrietà e gusto.
Abbiamo incontrato Alice in un momento di riposo, una piccola pausa nella promozione che da metà novembre sta accompagnando Weekend, in attesa dei tre concerti (Roma 23 marzo al Parco della Musica, Firenze 29 marzo Teatro Puccini, Milano 8 aprile Teatro Nuovo) che faranno da preludio alla stagione estiva.
 
Il titolo del disco rimanda ai momenti in cui è stato realizzato: i weekend di un anno dal settembre 2013 al settembre 2014. Una scelta curiosa…
In realtà è una scelta più normale di quanto si possa credere: la vita quotidiana ci chiama a tante attività e il tempo per registrare si è ridotto. Dunque la realizzazione dell’album, dalla scrittura alla preproduzione, è avvenuta in questi fine settimana!
 
Nonostante questo, avete dato una bella omogeneità all’album, che sembra figlio di un’unica seduta.
Di fronte a un modo di produzione così nuovo e anomalo, era necessario mantenere una certa lucidità per arrivare al risultato finale, e il tempo da questo punto di vista ci ha aiutato molto. Non è stato semplice interrompere, uscire e poi rientrare nel disco. Questa modalità è stata piuttosto faticosa, ma l’esperienza è stata positiva. Avevamo già in mente una selezione precisa di brani e il risultato ci soddisfa pienamente.
 
Rispetto ai tuoi precedenti album caratterizzati da un arrangiamento corposo, a volte lussureggiante (pensiamo, ad es. a Il sole nella pioggia), Weekend mi ha dato la sensazione di un suono minimal.
Esatto, è stata una scelta precisa e voluta. Un artista dovrebbe sempre avere la consapevolezza di ciò che fa e dell’ambiente che lo circonda: un’opzione minimale era inevitabile. Alla base avevo in mente una comunicazione nuova, consona al nuovo gusto, che, come vedi, si riflette anche nella grafica.
 
L’artwork infatti è molto interessante.
Con Francesco Messina abbiamo pensato a qualcosa di leggero che unisse alcuni elementi che rimandano al mondo della musica, sia alla creazione che alla fruizione, ad altri che rappresentano un mondo interiore fatto di curiosità, di letture, di esperienze. Così accanto a un jack o una cuffia ci sono libri, pagine e così via.
 
Da sempre ogni tuo disco è un collage di interventi da parte di ospiti e collaboratori. Per entrare nel mondo di Alice ti basta un semplice contributo o gradisci una condivisione più elevata?
Alcuni nomi sono talmente determinanti che senza di loro Weekend non sarebbe nato: penso in primis a Francesco Messina e Marco Guarniero (il disco esiste grazie a loro), in seconda battuta ovviamente a Franco Battiato, che ha prodotto il venti per cento dell’album, cioè Tante belle cose e Veleni, scritta con Sgalambro. La loro partecipazione è chiaramente più profonda, sarebbe stato strano il contrario. Le altre collaborazioni sono nate in virtù delle canzoni.
 
C’è un artista con il quale ti piacerebbe collaborare in futuro?
Non posso rispondere a questa domanda perché ogni album si sviluppa in funzione dei musicisti: l’idea di un ospite o di una sonorità particolare per un pezzo arriva per servire la canzone e non prima. La partecipazione di un musicista non è prestabilita, tanto è vero che spesso la collaborazione è più un ritrovarsi ed è bello che divenga un riscoprirsi.
 
Come con Paolo Fresu?
Esattamente. Paolo è un magnifico musicista, era con me nel 1989 nel Sole nella pioggia, poi la sua presenza è stata ciclica e infatti ha suonato anche negli album successivi. Non ho mai avuto difficoltà nel coinvolgere dei colleghi, anche perché capita sempre che io sia una fan del musicista che partecipa, in molti casi siamo anche amici.
 
Mino Di Martino ad esempio…
Ecco, sono felice di avere la firma di Mino in Weekend. Ha scritto un pezzo bellissimo, Qualcuno pronuncia il mio nome. Purtroppo stavolta ne ha composto solo uno, mentre su Samsara addirittura erano quattro i suoi brani. Mino è un amico carissimo e uno dei pochi in Italia ad essere un Artista con la A maiuscola. Lui non ha la visibilità che merita ed è un peccato perché la sua scrittura, anche al di fuori della musica, è speciale.
 
Mi ha molto colpito Da lontano, il pezzo scritto da te e Messina, con Luca Carboni.
La presenza di Luca è una di quelle più significative. Collaborare con lui è stata un’esperienza molto positiva. Nel suo album Fisico e Politico avevo interpretato una nuova versione di Farfallina. Avere Luca nel mio disco è stata una richiesta naturale, ma c’è una motivazione precisa: ho sempre ammirato la sua capacità di unire un linguaggio semplice e diretto con una poetica profonda. Inoltre la sua voce è così personale e Da lontano è un brano davvero bello.
 
In questo disco di leggerezza e profondità aleggia un nome: Claudio Rocchi.
Certo, un artista unico. Purtroppo non posso dire di averlo conosciuto in profondità, ci siamo incontrati nel 1994 la prima volta: era una collaborazione nel suo disco Lo scopo della luna, io cantavo in L’umana nostalgia, che ho voluto riprendere a vent’anni di distanza in Weekend. È stato un uomo, un artista e una voce con delle qualità particolari. Di recente ho riscoperto La realtà non esiste, un brano bellissimo che ho desiderato fortemente avere in Weekend. È una versione inedita, che canto insieme a Battiato.
 
Battiato, Rocchi, Di Martino, in passato Camisasca: tu hai cantato autori di spiccata spiritualità. In tempi di materialismo qual è il senso del sacro in musica?
Proprio in un periodo come questo, credo che dare voce al sacro abbia ancora più senso. Un artista non è affatto una persona di certezze incrollabili. Noi ci chiediamo in continuazione qual è la nostra direzione, qual è lo scopo della nostra esistenza. Sono domande che sorgono nonostante il materialismo: tante persone si muovono secondo bisogni e obiettivi materiali, orizzontali, altri invece scelgono una direzione verticale, verso lo spirito. Credo faccia parte della natura umana (che è anche divina), e un artista che cerca di muoversi in questo senso, di essere mezzo di queste domande, è interessato alla vita in ogni sua forma. Anche quella più insondabile, che spesso ho cantato e canto ancora.
 
Essere mezzo, farsi canale, elementi chiave in un percorso di interpretazione. Tu hai una storia importante da interprete. Che impressione ti danno le nuove interpreti che si affacciano, ad esempio, al mondo dei talent? Temo che nella maggior parte dei casi non si abbia idea di cosa si stia cantando…
Secondo me questa è una visione un po’ parziale, il problema non è chi canta, ma cosa canta. Mi spiego meglio: a me piacerebbe moltissimo che alle nuove generazioni di interpreti venissero date altre possibilità, ovvero venissero assegnate canzoni diverse e un po’ più valide. Ho la sensazione che esista un piccolo nucleo di compositori e pochissimi produttori per tutte le new entry, col risultato che la canzone è sempre la stessa e così l’interpretazione…
Rispetto a interpreti della mia generazione, quella attuale ha molte più opportunità, non solo tecnologiche, ma quello che manca è la possibilità di crescita. Qualche anno fa, parlando con un discografico, rimasi stupita: mi raccontava con soddisfazione che i talent offrono un trampolino di lancio importante e se poi il singolo non va bene pazienza, si prova con un altro ragazzo… Io ho sempre rifiutato questa logica usa e getta, confido ancora in un cambio di mentalità discografica, ma il mercato di oggi è sempre più in crisi, non ci sono più margini per investimenti su nuove proposte.
 
A proposito di mercato, Weekend fa una bella figura anche in vinile…
Io sono cresciuta con il 33 giri, ci sono molto affezionata (ride, ndr)! L’LP ha un valore simbolico importantissimo e sono molto felice che questo supporto riscuota nuova attenzione. Noi abbiamo pubblicato mille copie numerate che stanno andando benissimo.
 
Dall’interprete all’autrice: Weekend contiene anche un brano scritto interamente da te.
Sì, si chiama Aspettando mezzanotte. Nel corso della mia vita artistica ho sempre lasciato spazio a dei momenti personali di riflessione e anche questo brano è una sorta di fermo immagine attraverso la parola e la musica. La canzone ha il privilegio di possedere un linguaggio completo e spesso è l’ideale per fermare dei momenti di vita con domande importanti.
 
Weekend si rivolge a un ascoltatore ideale?
Tutti sono gli ascoltatori ideali di questo disco, non una ristretta élite. È un album fatto di tanta leggerezza, con tematiche condivisibili che riguardano tutti noi. Anche questa è stata una scelta forte: volevamo trasmettere leggerezza d’animo, un modo per scongiurare questa densità pesante che stiamo vivendo.
 
In un’intervista Battiato ricordava che ai suoi concerti c’erano tante persone con un forte senso religioso, una volta anche delle suore… Dopo tanti anni di esperienza, ti sei fatta un’idea del tuo ascoltatore “medio”?
Certo, il pubblico che mi segue è in linea di massima adulto, ma ultimamente noto anche molti giovani che si avvicinano alla mia musica, probabilmente anche perché ho un’attività piuttosto frequente. La mia proposta non è delle più “facili” e chi vi si accosta lo fa per una precisa scelta, nella maggior parte dei casi si tratta di persone con una realizzazione professionale, di cultura elevata, ma soprattutto con un’affinità forte verso le tematiche esistenziali che affronto. Tra i miei ascoltatori ci sono praticanti yoga, sufi, cattolici, persone di varie dottrine: sono felice che la mia musica vada al di là del credo.
 
 

 

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