Gli adoratori del Battiato anni ’70, in particolare quello dei primi quattro album, mal digeriscono il successivo passaggio al “pop”. Chi scoprì l’artista all’indomani de La voce del padrone spesso non ha mai curiosato nel “pre Cinghiale Bianco”. Chi ha seguito con interesse gli esperimenti colti nella seconda metà degli anni ’70 non si è mai soffermato sul ricciolone alle tastiere dinanzi al pubblico di Re Nudo, o sul disarticolato ballerino nei video anni ’80. Il pubblico di Battiato è eterogeneo come pochi, anche quello di un periodo complicato e convulso come gli anni ’70. Al Battiato di questo decennio Fabrizio Basciano – giovane e competente columnist del Fatto Quotidiano – ha dedicato Battiato ’70: tra popular music e avanguardie colte (Crac Edizioni).
Battiato anni ’70, pop e avanguardie. Cominciamo a individuare gli elementi distintivi, il primo è la popular music: qual era l’orizzonte musicale e compositivo “pop” del Battiato da te affrontato?
Ovviamente la canzone leggera italiana, provenendo lo stesso direttamente da quel mondo lì. Se notiamo infatti, la struttura dei pezzi che andrà a scrivere in Fetus e Pollution, seppur con tutti gli stravolgimenti del caso (timbrici innanzitutto ma anche armonici, ecc.), ricalca perfettamente quella della forma-canzone classica, che lui aveva navigato fino a pochissimo tempo prima dell’uscita di Fetus. Quando poi si tratterà, in età avanzata, di andare a pubblicare il suo primo album (probabilmente anche primo in Italia) di cover, i brani da lui riscritti saranno, grossomodo, tutti provenienti dal mondo della canzone leggera degli anni ’60, riferimento principale nella formazione musicale di Battiato. Proprio perciò nel volume si parla non di rock-progressive, come più volte erroneamente quella produzione è stata etichettata, ma di pop-progressive, definizione accettata anche dallo stesso Battiato.
A proposito di popular, nelle ricostruzioni postume l’opera del primo Battiato è spesso inserita nel capiente calderone del progressivo italiano. Che rapporti c’erano, ad esempio, tra un disco come Pollution e i vari PFM, Banco, Area e colleghi?
Con gli Area ci furono diversi scambi, ma in linea generale il Battiato di quegli anni tendeva molto a seguire una propria strada, personalissima, senza grandi coinvolgimenti in collaborazioni varie. Anche i concerti, a parte quelli conosciuti e passati alla storia come episodi estremi e controversi (specie per le reazioni del pubblico), saranno centellinati: l’unico periodo in cui il nostro calcò maggiormente i palchi fu quello relativo alla promozione di Pollution, sotto la spinta dell’Al.Sa., l’agenzia che curava l’immagine di Battiato.
Battiato bazzicava ambienti creativi, dal giro di Gianni Sassi ai Festival di Re Nudo: era integrato in quel contesto o già allora era un “battitore libero”?
Pur frequentando il giro di Sassi per un periodo (quello relativo ai primi due album del decennio sperimentale), se ne distaccherà subito appena si renderà conto di avere, intimamente parlando, altri orizzonti: ecco perché uscì, subito dopo i primi due album di quel periodo creativo, Fetus e Pollution, un disco come Sulle corde di Aries, che fu per Battiato una specie di liberazione da tutta una serie di vincoli che già lo stavano soffocando. Questa liberazione la si sente nel disco, nei suoi timbri, nelle code infinite di quasi tutti i brani, nelle atmosfere medievali e nel relativo uso, sistemico, della modalità.
Dal pop alle avanguardie, rilanciamo la prima domanda: quali erano i riferimenti colti del Battiato di Aries e Clic?
Il principale riferimento “colto”, accademico di quegli anni è certamente Stockhausen, che chiamerà Battiato per fargli interpretare una parte in una sua opera, Inori, salvo poi rendersi conto che il nostro non leggeva la musica. Fu quell’incontro a dare una nuova direzione a Battiato, portandolo a studiare la notazione musicale tradizionale insieme a varie altre materie come teoria, armonia, orchestrazione, ecc. Poi, in un secondo momento, nella fase Clic, Battiato si aprirà alle sperimentazioni di Cage e a quelle dei minimalisti americani, tutte presenti, insieme a quelle di Stockhausen, in questo quarto disco della decade sperimentale, sintomaticamente dedicato al grande Maestro di Colonia.
Nella discografia pop emergeranno, talvolta in modo piuttosto esplicito, le letture di Gurdjieff, Uspenskji e Thomasson: il Battiato ’70 teneva separata dalla musica la sua vita spirituale?
Non mi sembra, anche perché i testi sono pieni di riferimenti a dimensioni altre e a riflessioni di tipo spirituale: l’unica differenza sta nel fatto che ancora Battiato non aveva incontrato il Gurdjieff-pensiero, ma già ai tempi si abbeverava a diverse fonti spirituali, specie quelle dei mistici indiani. Il nostro dichiarerà in seguito che tutte quelle che erano sue personalissime intuizioni, che possiamo ascoltare nei testi di Fetus, Pollution, Sulle corde di Aries e Clic, le troverà poi magnificamente sistemate, ordinate e sviluppate nei testi di Ouspensky circa la psicologia gurdjieffiana.
Negli anni ’80 Battiato ha coniugato clamorose vendite e apprezzamenti critici. Quanto è stata influente l’attività degli anni ’70 nella discografia successiva?
Senza la produzione degli anni ’70 Battiato sarebbe rimasto alla canzonetta leggera che praticava negli anni ’60, invece di approdare a quel pop colto e raffinato che ha contraddistinto la sua produzione da L’era del cinghiale bianco in poi. Moltissimi sono gli elementi, come si legge e si analizza nel libro, che dalle sperimentazioni degli anni ’70 confluiranno nella sua produzione pop, a partire dalla tecnica del collage (trasferita dalla musica sui testi) fino a moltissime altre trovate che, nella sua produzione, verranno tutte incasellate in una forma-canzone più ordinata e, dunque, commerciale (in un senso assolutamente positivo del termine).
Joe Patti’s Experimental Group, al quale dedichi il capitolo finale, è un ritorno consapevole a certe tematiche, uno sfizio passeggero o cosa?
Joe Patti’s, disco sperimentale del 2014 nel quale Battiato va a ripescare diversi suoi lavori e sonorità degli anni ’70, è innanzitutto un ritorno, ovviamente consapevole, a certa sperimentazione. In questo ritorno però non si rileva la volontà, da parte dell’autore, di ulteriormente sviluppare, guardando dunque avanti e non limitandosi a guardare indietro, le intuizioni degli anni ’70. In questo senso Joe Patti’s non chiude un cerchio, anche se forse l’intento voleva essere pure quello: il cerchio si chiuderà, se mai dovesse chiudersi, solo quando Battiato produrrà un disco nel quale la sperimentazione sia ancora viva. Ogni grande musicista ha innovato fino all’ultimo, e Battiato non ne è da meno.
Battiato anni ’70, pop e avanguardie. Cominciamo a individuare gli elementi distintivi, il primo è la popular music: qual era l’orizzonte musicale e compositivo “pop” del Battiato da te affrontato?
Ovviamente la canzone leggera italiana, provenendo lo stesso direttamente da quel mondo lì. Se notiamo infatti, la struttura dei pezzi che andrà a scrivere in Fetus e Pollution, seppur con tutti gli stravolgimenti del caso (timbrici innanzitutto ma anche armonici, ecc.), ricalca perfettamente quella della forma-canzone classica, che lui aveva navigato fino a pochissimo tempo prima dell’uscita di Fetus. Quando poi si tratterà, in età avanzata, di andare a pubblicare il suo primo album (probabilmente anche primo in Italia) di cover, i brani da lui riscritti saranno, grossomodo, tutti provenienti dal mondo della canzone leggera degli anni ’60, riferimento principale nella formazione musicale di Battiato. Proprio perciò nel volume si parla non di rock-progressive, come più volte erroneamente quella produzione è stata etichettata, ma di pop-progressive, definizione accettata anche dallo stesso Battiato.
A proposito di popular, nelle ricostruzioni postume l’opera del primo Battiato è spesso inserita nel capiente calderone del progressivo italiano. Che rapporti c’erano, ad esempio, tra un disco come Pollution e i vari PFM, Banco, Area e colleghi?
Con gli Area ci furono diversi scambi, ma in linea generale il Battiato di quegli anni tendeva molto a seguire una propria strada, personalissima, senza grandi coinvolgimenti in collaborazioni varie. Anche i concerti, a parte quelli conosciuti e passati alla storia come episodi estremi e controversi (specie per le reazioni del pubblico), saranno centellinati: l’unico periodo in cui il nostro calcò maggiormente i palchi fu quello relativo alla promozione di Pollution, sotto la spinta dell’Al.Sa., l’agenzia che curava l’immagine di Battiato.
Battiato bazzicava ambienti creativi, dal giro di Gianni Sassi ai Festival di Re Nudo: era integrato in quel contesto o già allora era un “battitore libero”?
Pur frequentando il giro di Sassi per un periodo (quello relativo ai primi due album del decennio sperimentale), se ne distaccherà subito appena si renderà conto di avere, intimamente parlando, altri orizzonti: ecco perché uscì, subito dopo i primi due album di quel periodo creativo, Fetus e Pollution, un disco come Sulle corde di Aries, che fu per Battiato una specie di liberazione da tutta una serie di vincoli che già lo stavano soffocando. Questa liberazione la si sente nel disco, nei suoi timbri, nelle code infinite di quasi tutti i brani, nelle atmosfere medievali e nel relativo uso, sistemico, della modalità.
Dal pop alle avanguardie, rilanciamo la prima domanda: quali erano i riferimenti colti del Battiato di Aries e Clic?
Il principale riferimento “colto”, accademico di quegli anni è certamente Stockhausen, che chiamerà Battiato per fargli interpretare una parte in una sua opera, Inori, salvo poi rendersi conto che il nostro non leggeva la musica. Fu quell’incontro a dare una nuova direzione a Battiato, portandolo a studiare la notazione musicale tradizionale insieme a varie altre materie come teoria, armonia, orchestrazione, ecc. Poi, in un secondo momento, nella fase Clic, Battiato si aprirà alle sperimentazioni di Cage e a quelle dei minimalisti americani, tutte presenti, insieme a quelle di Stockhausen, in questo quarto disco della decade sperimentale, sintomaticamente dedicato al grande Maestro di Colonia.
Nella discografia pop emergeranno, talvolta in modo piuttosto esplicito, le letture di Gurdjieff, Uspenskji e Thomasson: il Battiato ’70 teneva separata dalla musica la sua vita spirituale?
Non mi sembra, anche perché i testi sono pieni di riferimenti a dimensioni altre e a riflessioni di tipo spirituale: l’unica differenza sta nel fatto che ancora Battiato non aveva incontrato il Gurdjieff-pensiero, ma già ai tempi si abbeverava a diverse fonti spirituali, specie quelle dei mistici indiani. Il nostro dichiarerà in seguito che tutte quelle che erano sue personalissime intuizioni, che possiamo ascoltare nei testi di Fetus, Pollution, Sulle corde di Aries e Clic, le troverà poi magnificamente sistemate, ordinate e sviluppate nei testi di Ouspensky circa la psicologia gurdjieffiana.
Negli anni ’80 Battiato ha coniugato clamorose vendite e apprezzamenti critici. Quanto è stata influente l’attività degli anni ’70 nella discografia successiva?
Senza la produzione degli anni ’70 Battiato sarebbe rimasto alla canzonetta leggera che praticava negli anni ’60, invece di approdare a quel pop colto e raffinato che ha contraddistinto la sua produzione da L’era del cinghiale bianco in poi. Moltissimi sono gli elementi, come si legge e si analizza nel libro, che dalle sperimentazioni degli anni ’70 confluiranno nella sua produzione pop, a partire dalla tecnica del collage (trasferita dalla musica sui testi) fino a moltissime altre trovate che, nella sua produzione, verranno tutte incasellate in una forma-canzone più ordinata e, dunque, commerciale (in un senso assolutamente positivo del termine).
Joe Patti’s Experimental Group, al quale dedichi il capitolo finale, è un ritorno consapevole a certe tematiche, uno sfizio passeggero o cosa?
Joe Patti’s, disco sperimentale del 2014 nel quale Battiato va a ripescare diversi suoi lavori e sonorità degli anni ’70, è innanzitutto un ritorno, ovviamente consapevole, a certa sperimentazione. In questo ritorno però non si rileva la volontà, da parte dell’autore, di ulteriormente sviluppare, guardando dunque avanti e non limitandosi a guardare indietro, le intuizioni degli anni ’70. In questo senso Joe Patti’s non chiude un cerchio, anche se forse l’intento voleva essere pure quello: il cerchio si chiuderà, se mai dovesse chiudersi, solo quando Battiato produrrà un disco nel quale la sperimentazione sia ancora viva. Ogni grande musicista ha innovato fino all’ultimo, e Battiato non ne è da meno.