30/09/2015

Genesis in Italia: Mino Profumo racconta quattro anni live

I concerti italiani della leggendaria band dal 1972 al 1975 nel nuovo libro del popolare collezionista ligure
Collezionista instancabile da quarant’anni, attentissimo a tutti gli aspetti della straordinaria carriera dei Genesis, Mino Profumo è un nome ben noto a chi frequenta gli studi e la divulgazione sulla band. Una persona così attiva nella ricostruzione storica del gruppo e nella raccolta di materiale d’archivio non poteva non confrontarsi con l’esperienza italiana dei Genesis, in particolare con i concerti tenuti nel nostro Paese dal 1972 al 1975,per intenderci  il meglio della celebre “Gabriel era”. Genesis in Italia. I concerti 1972-1975, pubblicato da Edizioni Segno, è una dettagliata narrazione – arricchita da foto inedite – sui quattro anni che hanno visto i Genesis crescere e affermarsi prima da noi che in Gran Bretagna. Ne parliamo con l’autore.
 
Una decina d’anni fa collaborasti a Genesis. Il fiume del costante cambiamento di Mario Giammetti, compilando la sezione sui tour degli anni ’70, oggi ti confronti con i concerti in Italia dal ’72 al ’75: quali sono le caratteristiche che maggiormente saltano all’occhio dei concerti italiani rispetto a quelli negli altri paesi?
Se ci limitiamo all’argomento affrontato nel nuovo libro, ovvero ai concerti italiani dell’era Gabriel, la differenza più significativa rispetto agli altri paesi è sicuramente l’entusiasmo e la partecipazione del pubblico di casa nostra. Gli stessi membri dei Genesis non mancano mai di sottolineare come sia stato decisivo per la loro carriera il caloroso appoggio ricevuto nelle sale italiane soprattutto nel 1972, un anno chiave nella loro carriera. In particolare notavano come i nostri fan applaudissero a volte in mezzo ai brani, magari al termine di un fraseggio esaltante, un tipo di reazione inesistente in Inghilterra. Anche la consistenza numerica era assolutamente rimarchevole, arrivando alle ventimila persone che stiparono il Palaeur di Roma nel ’73, una cifra nemmeno paragonabile alle poche centinaia (e a volte addirittura decine) che si contavano nelle sale inglesi dell’epoca. Inoltre non va dimenticato il grande appoggio mediatico che i Genesis trovarono in Italia, per merito soprattutto di giornalisti illuminati come Armando Gallo su Ciao 2001 e Carlo Massarini alla radio con Per Voi Giovani, strumenti che recensirono e lanciarono Nursery Cryme in maniera molto efficace.
 
La storia dei Genesis è strettamente legata all’Italia: trovano da noi la prima significativa affermazione, il loro ultimo grande concerto si tiene a Roma nel 2007. Alla luce della tua ricostruzione, quali sono le motivazioni di tanto amore da parte del pubblico italiano?
La spinta che arrivò da Ciao 2001 e Per Voi Giovani certamente non sarebbe bastata se non avesse trovato terreno fertile nella cultura italiana, ricca di legami con la musica classica e il romanticismo, creando una forte sinergia con la proposta musicale dei Genesis che definire prog è persino limitativo. Anche i testi, fiabeschi e con molti riferimenti alla mitologia greca, furono d’aiuto ma secondo me non in maniera fondamentale mentre decisiva fu sicuramente la componente teatrale dove il grande carisma di Peter Gabriel stregò letteralmente le platee di casa nostra, un affetto che è ancora oggi vivissimo.
 
Questo “teatro rock” genesisiano era fortemente british: come veniva accolto da noi?
È verissimo, le storielle inventate da Peter per presentare le varie canzoni avevano uno humour tipicamente inglese e spesso erano incomprensibili agli stessi connazionali dei Genesis. Ma il frontman si aiutava con la gestualità aggiungendo alcune parole in italiano, guadagnandosi così la simpatia di un pubblico comunque già ben preparato ad accogliere la proposta artistica della band. I costumi stessi erano strumento originale ed importante per veicolare un determinato messaggio di descrizione visiva legata ai testi delle canzoni agevolandone la comprensione. L’Italia a sua volta possiede una grande tradizione teatrale che, sia pure fortemente diversa da quella britannica, consentiva al nostro pubblico una certa predisposizione a determinate forme espressive provenienti dal mondo anglosassone. Non dimentichiamo infine la radice greca dell’arte teatrale.
 
Prefazione di Steve Hackett e Richard Macphail, due personalità che c’erano e hanno buona memoria: cosa ancora oggi li emoziona e li anima nel ricordo dei concerti italiani?
Leggendo le due prefazioni si colgono perfettamente le emozioni che ancora oggi suscitano in loro i ricordi di quelle avventurose tournée italiane. Dal magnifico cibo mai assaggiato prima allo staff che li accompagnava lungo la Penisola, tutto contribuisce a creare un quadro di riconoscenza e simpatia verso il nostro Paese. Ovviamente la cosa fondamentale fu il successo e il calore che accolsero la band sia nelle classifiche che nei nostri palasport. È per questo motivo che in quarta di copertina ho voluto pubblicare una piccola raccolta di citazioni dedicate all’Italia da parte di ogni singolo membro dei Genesis, a sottolineare l’essenza stessa di questo libro che è in primis dedicato all’epoca d’oro della band ma vuole essere anche un piccolo omaggio alle persone che tanto si adoperarono per aiutare il gruppo in una fase decisiva della carriera. Oltre ai già citati Armando Gallo e Carlo Massarini voglio pertanto menzionare anche Sandro Ciani, il factotum del promoter Maurizio Salvadori che si guadagnò la stima e l’amicizia di tutto l’entourage genesisiano e che ha contribuito notevolmente al libro con la sua memoria e alcune interessanti memorabilia personali.
 
Dopo l’uscita di Peter Gabriel il volto dei Genesis cambia definitivamente, sia in studio che dal vivo. Cosa avranno di diverso i concerti italiani del post 1975?
Purtroppo, come è noto, le azioni di disturbo delle frange extraparlamentari che chiedevano la musica gratis provocarono in Italia un embargo concertistico che durò diversi anni. Lo spettacolo dei Genesis del marzo 1975 fu uno degli ultimi che si svolsero più o meno regolarmente e quindi dovemmo aspettare il 1982 per rivedere la band sui nostri palcoscenici. Nel frattempo il gruppo, complice anche la determinante uscita di Steve Hackett nel 1977, virò decisamente verso una proposta musicale molto più accessibile che non a caso gli spalancò le porte del grande successo nelle arene americane. I concerti persero gradatamente l’aspetto teatrale proposto da Gabriel in favore di impianti luce sempre più elaborati e noi ne avemmo un buon esempio proprio a partire da quel tour del settembre 1982. Nella prima data a Tirrenia successe anche un episodio abbastanza significativo: Phil Collins ebbe una reazione stizzita verso lo scarso entusiasmo del pubblico, un chiaro segnale che sette anni non erano solo un gap temporale ma significavano anche un piccolo cambiamento degli umori italiani verso i Genesis superstiti. Show professionalmente impeccabili ma a mio parere privi di buona parte della magia che permeava i palcoscenici degli anni Settanta.
Il mio libro non era certo la sede per disquisire ancora sulla progressiva commercializzazione della band ma credo sia innegabile che i Genesis dal 1970 al 1975 hanno scritto una delle pagine più straordinarie nella storia della musica, trasferendone sul palco, ancora più arricchita, la sua struggente bellezza. Credo che ben poche band, in soli cinque anni, siano riuscite ad ottenere così alti standard qualitativi.
 
Una band popolare come i Genesis ha ovviamente un’ampia letteratura, eppure molte zone sono ancora poco esplorate. Il tuo testo contribuisce a far luce su alcuni concerti “misteriosi”, ad esempio quelli del primo, storico tour nella primavera del 1972.
In effetti la bibliografia dedicata ai Genesis è assai corposa, per non dire ipertrofica, e in alcuni casi anche abbastanza inutile, ormai non è facile trovare argomenti che giustifichino la pubblicazione di un libro. Una delle pochissime zone ancora non trattate come si deve era proprio quella relativa ai concerti italiani, dove mancava addirittura l’esatto elenco dei concerti effettuati sia nell’aprile che nell’agosto del 1972. Ho attraversato mezza Italia a cercare notizie nelle biblioteche e presso i quotidiani locali, un processo lento e a volte senza risultati apprezzabili ma unico modo per riuscire a decifrare date e passaggi ancora da chiarire.
Inoltre, come sai, colleziono i Genesis dal 1974 e quindi il momento era quello giusto per mettere a disposizione di tutti il tanto materiale raccolto in oltre quarant’anni di ricerche appassionate. Sono questi gli aspetti che rendono il libro diverso da tutti gli altri già pubblicati, senza dimenticare le oltre cinquanta foto inedite che arricchiscono indiscutibilmente il volume. Voglio a questo proposito ringraziare di cuore Edizioni Segno, che mi ha dato assoluta carta bianca sia a livello di testo che di strutturazione.
 
Ogni tour ha rivelato la crescita dei Genesis in termini di professionalità, ma spesso promoter e tecnologia non erano dalla loro parte: l’Italia era ancora impreparata per i grandi concerti?
Sicuramente sì, se parliamo dei tour del 1972 e del 1973, anche se non mi sento di criticare promoter come Maurizio Salvadori che fu il primo a portare i Genesis in Italia. Le cose cambiarono già nel ’74 e nel ’75 con l’avvento di David Zard, all’epoca il più grande impresario italiano mentre dal 1982 in avanti, con concerti anche negli stadi, la macchina organizzativa era ormai paragonabile agli standard internazionali. Nei primissimi anni Settanta in Italia tutto era ancora molto primitivo, non esistevano service, servizi d’ordine, merchandising e cose del genere, gli stessi Genesis arrivavano per il soundcheck e trovavano ancora qualcuno col martello in mano a sistemare le assi del palcoscenico…
 
La provenienza sociale dei Genesis, figli dell’alta borghesia britannica, strideva con il carrozzone rock anni ’70, licenzioso e trasgressivo. Anche in Italia la stagione dei concerti coincise con un’epoca di liberazione sessuale e conflittualità generazionale: i Genesis in Italia partecipavano a questo clima?
Direi proprio di no. I Genesis non si distinguevano per particolari esternazioni di carattere politico o sociale e più in generale, provenendo appunto da famiglie molto benestanti, preferivano evitare qualsiasi dichiarazione palese preferendo concentrarsi sugli aspetti musicali. Il solo Gabriel, come poi si potrà appurare più chiaramente durante la sua carriera solista, faceva qualche accenno a temi impegnati come ad esempio nel testo di Get’em Out By Friday dove si parla di una spudorata speculazione edilizia ai danni di un quartiere di case popolari. Erano però circostanze molto marginali, i testi parlavano principalmente di mitologie e mondi fantastici almeno fino alla svolta con The Lamb Lies Down On Broadway dove il protagonista era invece un personaggio moderno e molto lontano dagli usuali standard fiabeschi ma, anche in questo caso, caratterizzato solo incidentalmente da implicazioni sociopolitiche.
 
La band ha spesso condiviso il palco con grandi nomi del rock nostrano, dalla PFM agli Osanna. Secondo te quanto i Genesis hanno influenzato questi gruppi e quanto a loro volta sono stati influenzati?
Domanda ricorrente ma a cui è difficile rispondere. Secondo me bisogna partire dalle radici comuni ovvero dal primo disco dei King Crimson se non addirittura da Beatles, Moody Blues e Procol Harum, quello che venne dopo è in sostanza un influenzarsi a vicenda. Più in generale direi che il prog inglese ha generato quello italiano e non viceversa ma se intervisterai Franz Di Cioccio o Lino Vairetti forse non saranno d’accordo. In ogni caso ho sempre considerato i Genesis un caso a sé stante nel filone progressivo, poco assimilabile ai vari ELP o Yes, ovvero una musica con una grande anima interna, spiccato senso delle melodie e una ben definita spina dorsale. Suonando come se fosse un’orchestra, cinque elementi tutti al servizio del risultato finale e non del solismo fine a se stesso.
 
Tra i memorabili concerti saliti all’onore delle cronache rock italiane ci sono i Pink Floyd a Venezia, i Led Zeppelin al Vigorelli, Springsteen a San Siro, ma dei Genesis non si parla quasi mai. Davvero Gabriel e compagni non hanno mai avuto in Italia “il” grande concerto?
Forse non ce n’è stato il tempo. Nel 1972 i Genesis erano ancora abbastanza sconosciuti e negli anni immediatamente successivi sono piombati in Italia ad ogni occasione, sfruttando giustamente la grande popolarità. Nel ’75 tirava già una brutta aria ed è stato un mezzo miracolo poter organizzare il concerto di Torino, dopodiché le cose cambiarono sia per la band che per i fan italiani. Ho sempre pensato che la reunion del 1982 a Milton Keynes doveva essere fatta qui da noi ma, anche volendo, non sarebbe stato possibile per ragioni logistiche. Un concerto evento in Italia, secondo me, doveva assolutamente prevedere anche la presenza di Peter Gabriel e Steve Hackett e credo che se la circostanza si fosse verificata al Circo Massimo nel 2007 parleremmo a quest’ora di uno dei più importanti avvenimenti musicali nella storia del nostro Paese. Ma forse è meglio ricordare cosa succedeva su quei palchi degli anni Settanta, un’epopea irripetibile che va consegnata alla storia con tutti gli onori del caso, uno degli obiettivi che mi sono prefisso con questo libro.

 
 

 

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