02/04/2021

Getting Better: le 250 migliori canzoni dei Beatles

Leonardo Tondelli scende a fondo nell’universo beatlesiano
Ogni qual volta esce un libro sui Beatles parte di colpo la domanda: ce n’era davvero bisogno? Trattandosi del più rilevante fenomeno della pop culture, è inevitabile che sia così studiato, analizzato e commentato. Leonardo Tondelli però fa qualcosa in più. Prova ad andare al nocciolo della faccenda: non propone un’analisi sociomusicologica alla MacDonald, non si presenta quale biografo alla Norman, Spitz o Davies, non ha passato la sua vita tra gli archivi di Abbey Road come Lewisohn. Si avvicina probabilmente all’approccio di Padalino: se però questi calava i Beatles nella cultura del Novecento allontanandosi deliziosamente dal tema, Tondelli usa il commento song by song per fare emergere le singole personalità, il senso del gruppo, il rapporto musica-parole, la ratio generale di tutta la vicenda all’insegna di un primato compositivo e sperimentale che regge il tutto. Getting Better (Arcana) si rivela così una delle migliori pubblicazioni in materia negli ultimi tempi.
 
Il titolo Getting Better funge da chiave di volta del tuo studio. I Beatles, il loro miglioramento come autori e come band, ma soprattutto il loro essere pienamente centrati nell’ottimismo degli anni ’60…
Se devo essere sincero è il classico “titolo di lavoro” suggerito all’editore in attesa che a lui o a me ne venisse in mente uno migliore. Alla fine mi ci sono affezionato, forse anche perché ci ho lavorato molto alla fine del lockdown dell’anno scorso, e quindi sentivo anch’io una specie di ottimismo. Poi naturalmente è un titolo che in due parole dice tantissimo dei Beatles, suggerendo anche un motivo per cui a un certo punto si sono fermati: non si può migliorare sempre, a un certo punto era necessaria una pausa di riflessione, sia estetica che esistenziale.
 
Canzone dopo canzone, entrando in punta di piedi nel dato tecnico-musicale senza perdere di vista testi e simboli, hai individuato i principali elementi dell’universo beatlesiano. Tutta la prima fase fino alla crisi di Help! e alla ripartenza di Rubber Soul è una crescita vertiginosa dei quattro: secondo te quando hanno avuto la reale percezione dell’importanza di quanto stavano facendo?
In un certo senso sempre, in un altro mai. Ovvero: per essere quattro tizi di una città portuale che suonavano nei locali, è impressionante la consapevolezza con cui impongono la loro proposta musicale, già nel 1963. E allo stesso tempo non potevano sapere cosa sarebbero diventati, per il semplice motivo che sono stati i primi – tutti dopo di loro avevano come orizzonte l’idea di diventare “grandi come i Beatles”, loro nei sogni più arditi si immaginavano di diventare più grandi di Elvis ma venivano da un contesto completamente diverso da quello americano e non avevano chiaro cosa significasse occupare un posto così importante nell’immaginario collettivo. Da un punto di vista musicale, il fatto di non avere nessuna vera regola da rispettare ha dato loro una libertà immensa, che a un certo punto non hanno più saputo come gestire.
 
Sei stato abile nel tratteggiare i dati salienti delle singole personalità, a partire da Paul con cui talvolta sei stato severo. Di Macca conosciamo abbondantemente gli straordinari pregi di compositore pop, ma quali sono i difetti?
Perché vuoi farmi odiare dai macchisti? McCartney si presta a essere criticato più di Lennon e Harrison – tanto per cominciare, è ancora vivo. Poi dei quattro è stato senz’altro l’anima più eclettica e spesso dava l’impressione di considerare le canzoni come esercizi di stile, con un’attitudine che in seguito abbiamo riconosciuto come l’opposto del rock ‘n’ roll. Questo lo rende anche più facile da ‘smontare’, per cui anche davanti a capolavori come Yesterday o Hey Jude ci si può divertire a scomporli in fattori primi, a capire da dove viene una certa frase melodica o un giro armonico. Si può fare anche con la musica di Lennon, ma ho la sensazione che sia meno divertente, perché Lennon sembrava meno consapevole di quello che faceva.
 
Fino al 1966 è proprio John che suona la carica, poi arrivano la richiesta di aiuto, Bob Dylan, l’LSD, Yoko, la mutazione da uomo di gruppo a compositore. Il vero Lennon è quello da Cold Turkey in avanti?
Ci sono stati tanti Lennon diversi, veramente tanti considerati i quarant’anni scarsi in cui è stato al mondo. Detto questo trovo interessante come il Lennon che si è più fissato nell’immaginario sia quello dei primi anni Settanta – quello che in teoria aveva appena ucciso i Beatles. Che come sappiamo, era peggio di avere ucciso Gesù…
 
Prezioso George. Si è espresso poco ma con senso, gusto e direzione. Pensi abbia fatto troppo poco in seno ai Beatles o non poteva dare più di quello che ha dato?
George probabilmente è uno dei più grandi argomenti contro la concezione del genio innato – perché anche ammesso che a Liverpool fossero nati nel giro di pochi mesi due compositori importanti come Lennon e McCartney, come la mettiamo con George? Lui aveva senz’altro una grande sensibilità musicale, ma avrebbe scritto le migliori canzoni che ha scritto se non fosse stato in bottega da due maestri così? Il fatto che abbia avuto un momento di massima creatività proprio nella fase finale della storia dei Beatles per me è una prova eloquente. Quando non c’è stata più l’esigenza di misurarsi con Paul e John, sono finite anche le grandi canzoni.
 
Il caso Ringo. Gli invidiosi – o i poco preparati – lo considerano poco più che un miracolato, ma trovare timing, offbeat e personalità del genere non è così frequente. I tre avevano idea della sua caratura? 
Paradossalmente Ringo è l’unico Beatle ad aver fatto qualcosa di simile a un provino da professionista – gli altri tre si erano incontrati da ragazzini ed erano cresciuti assieme, mentre Ringo incontra i Beatles quando è già il batterista di uno dei gruppi più importanti del Merseyside. Nel momento in cui firmano con la Parlophone-EMI, John e Paul sanno di poter scegliere il batterista migliore sulla piazza e Ringo era quello con cui volevano lavorare. Prima di una questione musicale era una questione umana (e anche da questo punto di vista Ringo fu un elemento importante, sui media era la fondamentale spalla comica). Con lui poi i Beatles diventano un gruppo a trazione ritmica ‘mancina’: sia lui sia Paul suonavano strumenti che non erano ancora progettati per i mancini, e questo dà a molte canzoni dei Beatles un andamento dinoccolato che alcuni ascoltatori interpretano come goffo e che però è una caratteristica unica.
 
Pare tu sia iscritto al partito di Revolver e piuttosto critico verso Sgt. Pepper.  Abbiamo preso tutti un abbaglio collettivo o forse davvero l’album del 1966 è la vetta indiscussa dei Fab Four?
Sinceramente sì, credo che la ricezione entusiastica di Sgt. Pepper fu in parte un’illusione collettiva – il modo in cui media e pubblico superarono il fatto che per la prima volta un disco dei Beatles non fosse superiore al precedente. D’altro canto come si faceva a superare Revolver? I Beatles avevano bisogno di fare un passo laterale e tentare cose ancora diverse e magari meno immediate. Questo rende Sgt. Pepper un grande disco, proprio perché non era un Revolver 2 – ma per capire quale davvero dei due è il migliore basta confrontare la scaletta.
 
C’è un momento in cui i Beatles intraprendono una lunga dissoluzione. Chi dice sia la morte di Brian Epstein, chi l’avvento di Yoko, John con Jann Wenner faceva risalire la fine dei Beatles all’inizio del martellamento post Amburgo. Tu cosa pensi a riguardo?
Per Lennon in sostanza i Beatles stavano per finire quando cominciarono ad aver successo, come una specie di bomba a tempo. Quello che forse stava cercando di spiegare è che si trattava di una miscela instabile, che non avrebbe potuto durare, e che era inutile cercare un capro espiatorio: ognuno di noi a trent’anni non fa più le cose che faceva a venti, i ragazzi mettono famiglia e cominciano a preoccuparsi dei contratti e della politica e non c’era nulla di tragico in tutto questo, era parte della vita, bisognava andare avanti. La vera e propria tragedia si è consumata nel 1980, quando abbiamo capito che la fine era irreversibile.
 
Esistono disponibili sul mercato centinaia di libri sui Beatles. Pensi sia stato scritto tutto o ci sono ancora aspetti da studiare e illustrare?
Spero che ci sia ancora spazio per una ristampa del mio libro con qualche refuso in meno… a parte questo, credo che una seria analisi musicologica non sia ancora stata pubblicata. Diverse fonti che ho usato erano su internet, mai pubblicate in volume. È curioso, perché di libri sui Beatles ne escono tutti gli anni, c’è ancora una evidente domanda. E forse dopo tre o quattro biografie, se i lettori ancora cercano qualcosa, non è l’ennesimo racconto di come si sono incontrati o del perché hanno litigato. Può davvero darsi che i lettori vogliano sapere qualcosa di più sulla loro musica.
 

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