TXT. Testi commentati è una delle collane più seguite della letteratura musicale italiana. Arcana ha scandagliato il songbook delle principali rock band della storia e non potevano mancare i Genesis: un gruppo che ha segnato la storia del progressive, sviluppando una personalità e un carisma senza eguali, anche sotto il profilo testuale. Dopo il primo volume Once Upon A Time (Arcana, 2009), De Liso torna con Behind The Lines, che riparte dalle origini fino a Calling All Stations, fotografando così l’intera carriera dei Genesis, song by song.
Con Once Upon A Time commentavi la prima parte della storia genesisiana, mentre Behind The Lines completa il percorso con i testi di quella che viene chiamata la “Collins Era”. Ma è proprio così? Dal punto di vista dei testi possiamo parlare di era Collins?
Non direi. Collins inizia a scrivere testi sull’onda emotiva del suo primo divorzio e quindi da Duke in poi. Dalla “dipartita” di Gabriel e fino a quel disco le liriche sono opera quasi esclusivamente di Banks e Rutherford, con qualche rara incursione di Hackett. Certo, dopo il successo da solista, Collins prende decisamente il sopravvento sino ad arrivare a We Can’t Dance, l’ultimo disco in studio di Phil con i Genesis, in cui il batterista la fa da padrone scrivendo i testi di più della metà dei brani presenti.
Tra l’esordio From Genesis To Revelations (1969) e Trespass (1970) c’è un breve scarto temporale, ma stilisticamente un autentico abisso. Le differenze tra i due album contemplano anche i testi?
From Genesis To Revelations è un disco liricamente acerbo. Gabriel lo definì pretenzioso, il tentativo di un gruppo di liceali di creare un concept basato sulle teorie creazionistiche presenti nelle Sacre Scritture. Un’idea assurda e perdente per quegli anni. Con Trespass i ragazzi fanno un notevole passo in avanti: ci sono in quel disco brani assolutamente interessanti dal punto di vista lirico. Su tutti cito Dusk e Stagnation.
Con Nursery Cryme (1971) i Genesis entrano in pieno nell’esperienza progressive. È possibile tracciare un minimo comun denominatore tra i testi del denso quinquennio 1971-1975?
In quegli anni si compie la parabola artistica più elevata della band sia dal punto di vista musicale che sul versante lirico. Riguardo ai testi troviamo in tutti gli album di quel periodo sempre dei riferimenti letterari sparsi qua e là che nel mio libro mi sono divertito a scovare e poi ci sono i giochi di parole alla Lewis Carroll, un vero e proprio marchio di fabbrica di Peter Gabriel con i Genesis, croce e delizia di tutti i traduttori dei loro testi!
Al prog-rock è stata rimproverata una certa distanza dalla realtà, una sorta di astrazione che la stampa punk e post-punk accuserà spesso. Eppure nei Genesis un elemento di critica sociale non è affatto assente…
È vero. Limitandoci al solo periodo progressive e tralasciando l’acerbo esordio, troviamo elementi di critica sociale praticamente in ogni album. In Trespass c’è The Knife incentrata sulla figura di un sanguinoso dittatore, Nursery Cryme contiene la deliziosa mini piece teatrale di Harold The Barrell, una feroce parodia del voyeurismo mediatico, Get ‘Em Out By Friday su Foxtrot tratta della speculazione edilizia, tutto Selling England By The Pound è una critica ai costumi sociali decaduti dell’Inghilterra dell’epoca e The Lamb contiene un brano hard come Back In N.Y.C., dove emerge chiaramente il profilo delinquenziale del protagonista Rael. Anche nei due dischi considerati prog del dopo Gabriel questa tradizione continua: il sognante A Trick Of The Tail include Robbery, Assault & Battery, dedicato ai furfanti da strapazzo che riescono a farla franca e in Wind & Wuthering c’è un pezzo come Blood Of The Rooftops, dove si parla del conflitto tra arabi ed ebrei nella Terra Santa!
Pensi sia possibile individuare, in questa prima fase discografica, qualche testo “importante” degno di affiancare quelli di autori blasonati, penso a Dylan, Cohen, Reed ecc.?
Lo stile dei Genesis non può certo definirsi cantautorale e i nostri, anche quando vogliono lanciare qualche messaggio più diretto, in questa prima fase lo fanno sempre in maniera mediata, con il filtro della metafora o dell’allegoria. Soltanto con il passare del tempo i Genesis riusciranno a liberarsi della proverbiale riservatezza anglosassone e sfornare qualche testo più diretto come Burning Rope su And Then There Were Three o Please Don’t Ask su Duke.
Nella prima metà degli anni ’70 molti artisti rock convivono con un’autentica sbornia mistica, cosa che ai Genesis è mancata pur avendo trattato temi spirituali e allegorici.
Forse perché i Genesis facevano un limitatissimo uso di sostanze stupefacenti, forse perché provenivano dalla middle o upper class, fatto sta che la trattazione di temi spirituali e allegorici nella band è sempre stata molto scolastica, figlia dei sussidiari più che di letture alternative accompagnate da sballi lisergici.
Trick Of The Tail (1976) e Wind And Wuthering (1977) sfuggono spesso a trattazioni del genere poiché sono dischi prog ma con la leadership collinsiana. I testi di questa doppietta rivelano elementi interessanti?
Sono stati i due album che mi hanno dato maggiori soddisfazioni, forse perché meno analizzati dal punto di vista lirico di quelli con Gabriel. Trick è praticamente un concept sull’illusione, fortemente influenzato dai libri di Castaneda, un disco più americano nelle ambientazioni che inglese. Wind & Wuthering è il contrario, è un album inglese sino al midollo, a partire dalla influenza della Bronte per il titolo e non solo, fino a brani come Blood On The Rooftops o Eleventh Earl Of Mar che sono la quintessenza dell’eccentricità britannica. Infine, su Wind & Wuthering c’è il brano che contiene quello che è a mio avviso il testo più interessante dei Genesis, ovvero One For The Vine.
Da And Then There Were Three cambia tutto: musica, approcci, obiettivi, concerti, ovviamente testi. Probabilmente fa eccezione Duke, l’unico album della lunga vicenda “pop” ad avere più di un legame col passato…
And Then There Were Three è un album certamente diverso da tutto ciò che i Genesis avevano fatto in passato anche se la discontinuità maggiore è rappresentata dalla durata dei brani piuttosto che dai testi, che continuano a mantenere un registro stilistico tipicamente progressive, con l’unica e fondamentale eccezione del successo pop di Follow You Follow Me. Duke è invece esattamente a metà tra la fase prog e la svolta pop, è forse il disco che consiglierei di ascoltare a chi per la prima volta si accinge a sentire i Genesis. Da Abacab in poi, i Genesis si trasformano da prog band a pop band dal successo planetario. I testi ovviamente ne risentiranno notevolmente.
Tutti i gruppi di classic rock superstiti negli anni ’80 si adeguano all’andazzo e cambiano pelle, anche dal punto di vista dei testi. In relazione alle nuove rock band dell’epoca, dagli U2 ai REM passando per Clash e Cure, i testi di questi Genesis sono competitivi?
A differenza delle band che citi tu, i Genesis si sono portati dietro negli anni ’80 il fardello dei loro trascorsi progressive. Come può – si chiedevano pubblico e stampa – una band che ha scritto Supper’s Ready o The Lamb scrivere testi d’amore melensi e adolescenziali? Eppure, se ci si dimentica per un attimo il glorioso passato, testi come In Too Deep, Taking It All Too Hard o la stessa Like It Or Not non hanno nulla da invidiare alle love ballad di U2 e REM o perlomeno sono meno scontati.
Finita l’era prog dei Genesis partono anche le carriere soliste. Nei solo album cambiano contenuti e parole o c’è continuità con la band madre?
Consentimi in primo luogo di suggerire a tutti coloro che non lo hanno ancora fatto di recuperare il disco di esordio solista di ogni singolo componente dei Genesis. Sono tutti dei piccoli capolavori! Fatta questa premessa, devo dire che Tony Banks, Mike Rutherford e Steve Hackett provano a portare nei loro primi lavori da solista un po’ dello spirito Genesis. I primi due tuttavia cambieranno ben presto registro per orientarsi ad uno stile più commerciale. Phil Collins fa invece il procedimento inverso, portando nei Genesis il suo stile di scrittura diretto ed essenziale. Peter Gabriel, invece, fedele ai suoi propositi, tranne che in qualche rara occasione, continuerà a portare avanti un suo stile personale completamente diverso da quello che aveva nei Genesis.
Calling All Stations è il titolo più controverso della storia dei Genesis. Il povero Ray Wilson ce la mette tutta ma i risultati sono penalizzanti: quanto pesano i testi in questa debacle?
Non molto, a mio avviso. Intanto i testi di quel disco sono tutti opera di Banks e Rutherford e quindi del nucleo storico della band. Inoltre sono quasi tutti incentrati sul tema dell’isolamento e del fanatismo, raggiungendo dei notevoli picchi in brani come Uncertain Weather e One Man’s Fool, brano tristemente premonitore del fenomeno del terrorismo che di lì a poco sarebbe esploso. L’insuccesso di Calling All Stations va piuttosto ricercato nell’uscita di scena di un personaggio istrionico come Phil Collins e nel cambio radicale di programmazione radiofonica di quegli anni che tagliò dai palinsesti band considerate vetuste come i Genesis impedendo alle nuove leve di conoscere la loro musica.
Con Once Upon A Time commentavi la prima parte della storia genesisiana, mentre Behind The Lines completa il percorso con i testi di quella che viene chiamata la “Collins Era”. Ma è proprio così? Dal punto di vista dei testi possiamo parlare di era Collins?
Non direi. Collins inizia a scrivere testi sull’onda emotiva del suo primo divorzio e quindi da Duke in poi. Dalla “dipartita” di Gabriel e fino a quel disco le liriche sono opera quasi esclusivamente di Banks e Rutherford, con qualche rara incursione di Hackett. Certo, dopo il successo da solista, Collins prende decisamente il sopravvento sino ad arrivare a We Can’t Dance, l’ultimo disco in studio di Phil con i Genesis, in cui il batterista la fa da padrone scrivendo i testi di più della metà dei brani presenti.
Tra l’esordio From Genesis To Revelations (1969) e Trespass (1970) c’è un breve scarto temporale, ma stilisticamente un autentico abisso. Le differenze tra i due album contemplano anche i testi?
From Genesis To Revelations è un disco liricamente acerbo. Gabriel lo definì pretenzioso, il tentativo di un gruppo di liceali di creare un concept basato sulle teorie creazionistiche presenti nelle Sacre Scritture. Un’idea assurda e perdente per quegli anni. Con Trespass i ragazzi fanno un notevole passo in avanti: ci sono in quel disco brani assolutamente interessanti dal punto di vista lirico. Su tutti cito Dusk e Stagnation.
Con Nursery Cryme (1971) i Genesis entrano in pieno nell’esperienza progressive. È possibile tracciare un minimo comun denominatore tra i testi del denso quinquennio 1971-1975?
In quegli anni si compie la parabola artistica più elevata della band sia dal punto di vista musicale che sul versante lirico. Riguardo ai testi troviamo in tutti gli album di quel periodo sempre dei riferimenti letterari sparsi qua e là che nel mio libro mi sono divertito a scovare e poi ci sono i giochi di parole alla Lewis Carroll, un vero e proprio marchio di fabbrica di Peter Gabriel con i Genesis, croce e delizia di tutti i traduttori dei loro testi!
Al prog-rock è stata rimproverata una certa distanza dalla realtà, una sorta di astrazione che la stampa punk e post-punk accuserà spesso. Eppure nei Genesis un elemento di critica sociale non è affatto assente…
È vero. Limitandoci al solo periodo progressive e tralasciando l’acerbo esordio, troviamo elementi di critica sociale praticamente in ogni album. In Trespass c’è The Knife incentrata sulla figura di un sanguinoso dittatore, Nursery Cryme contiene la deliziosa mini piece teatrale di Harold The Barrell, una feroce parodia del voyeurismo mediatico, Get ‘Em Out By Friday su Foxtrot tratta della speculazione edilizia, tutto Selling England By The Pound è una critica ai costumi sociali decaduti dell’Inghilterra dell’epoca e The Lamb contiene un brano hard come Back In N.Y.C., dove emerge chiaramente il profilo delinquenziale del protagonista Rael. Anche nei due dischi considerati prog del dopo Gabriel questa tradizione continua: il sognante A Trick Of The Tail include Robbery, Assault & Battery, dedicato ai furfanti da strapazzo che riescono a farla franca e in Wind & Wuthering c’è un pezzo come Blood Of The Rooftops, dove si parla del conflitto tra arabi ed ebrei nella Terra Santa!
Pensi sia possibile individuare, in questa prima fase discografica, qualche testo “importante” degno di affiancare quelli di autori blasonati, penso a Dylan, Cohen, Reed ecc.?
Lo stile dei Genesis non può certo definirsi cantautorale e i nostri, anche quando vogliono lanciare qualche messaggio più diretto, in questa prima fase lo fanno sempre in maniera mediata, con il filtro della metafora o dell’allegoria. Soltanto con il passare del tempo i Genesis riusciranno a liberarsi della proverbiale riservatezza anglosassone e sfornare qualche testo più diretto come Burning Rope su And Then There Were Three o Please Don’t Ask su Duke.
Nella prima metà degli anni ’70 molti artisti rock convivono con un’autentica sbornia mistica, cosa che ai Genesis è mancata pur avendo trattato temi spirituali e allegorici.
Forse perché i Genesis facevano un limitatissimo uso di sostanze stupefacenti, forse perché provenivano dalla middle o upper class, fatto sta che la trattazione di temi spirituali e allegorici nella band è sempre stata molto scolastica, figlia dei sussidiari più che di letture alternative accompagnate da sballi lisergici.
Trick Of The Tail (1976) e Wind And Wuthering (1977) sfuggono spesso a trattazioni del genere poiché sono dischi prog ma con la leadership collinsiana. I testi di questa doppietta rivelano elementi interessanti?
Sono stati i due album che mi hanno dato maggiori soddisfazioni, forse perché meno analizzati dal punto di vista lirico di quelli con Gabriel. Trick è praticamente un concept sull’illusione, fortemente influenzato dai libri di Castaneda, un disco più americano nelle ambientazioni che inglese. Wind & Wuthering è il contrario, è un album inglese sino al midollo, a partire dalla influenza della Bronte per il titolo e non solo, fino a brani come Blood On The Rooftops o Eleventh Earl Of Mar che sono la quintessenza dell’eccentricità britannica. Infine, su Wind & Wuthering c’è il brano che contiene quello che è a mio avviso il testo più interessante dei Genesis, ovvero One For The Vine.
Da And Then There Were Three cambia tutto: musica, approcci, obiettivi, concerti, ovviamente testi. Probabilmente fa eccezione Duke, l’unico album della lunga vicenda “pop” ad avere più di un legame col passato…
And Then There Were Three è un album certamente diverso da tutto ciò che i Genesis avevano fatto in passato anche se la discontinuità maggiore è rappresentata dalla durata dei brani piuttosto che dai testi, che continuano a mantenere un registro stilistico tipicamente progressive, con l’unica e fondamentale eccezione del successo pop di Follow You Follow Me. Duke è invece esattamente a metà tra la fase prog e la svolta pop, è forse il disco che consiglierei di ascoltare a chi per la prima volta si accinge a sentire i Genesis. Da Abacab in poi, i Genesis si trasformano da prog band a pop band dal successo planetario. I testi ovviamente ne risentiranno notevolmente.
Tutti i gruppi di classic rock superstiti negli anni ’80 si adeguano all’andazzo e cambiano pelle, anche dal punto di vista dei testi. In relazione alle nuove rock band dell’epoca, dagli U2 ai REM passando per Clash e Cure, i testi di questi Genesis sono competitivi?
A differenza delle band che citi tu, i Genesis si sono portati dietro negli anni ’80 il fardello dei loro trascorsi progressive. Come può – si chiedevano pubblico e stampa – una band che ha scritto Supper’s Ready o The Lamb scrivere testi d’amore melensi e adolescenziali? Eppure, se ci si dimentica per un attimo il glorioso passato, testi come In Too Deep, Taking It All Too Hard o la stessa Like It Or Not non hanno nulla da invidiare alle love ballad di U2 e REM o perlomeno sono meno scontati.
Finita l’era prog dei Genesis partono anche le carriere soliste. Nei solo album cambiano contenuti e parole o c’è continuità con la band madre?
Consentimi in primo luogo di suggerire a tutti coloro che non lo hanno ancora fatto di recuperare il disco di esordio solista di ogni singolo componente dei Genesis. Sono tutti dei piccoli capolavori! Fatta questa premessa, devo dire che Tony Banks, Mike Rutherford e Steve Hackett provano a portare nei loro primi lavori da solista un po’ dello spirito Genesis. I primi due tuttavia cambieranno ben presto registro per orientarsi ad uno stile più commerciale. Phil Collins fa invece il procedimento inverso, portando nei Genesis il suo stile di scrittura diretto ed essenziale. Peter Gabriel, invece, fedele ai suoi propositi, tranne che in qualche rara occasione, continuerà a portare avanti un suo stile personale completamente diverso da quello che aveva nei Genesis.
Calling All Stations è il titolo più controverso della storia dei Genesis. Il povero Ray Wilson ce la mette tutta ma i risultati sono penalizzanti: quanto pesano i testi in questa debacle?
Non molto, a mio avviso. Intanto i testi di quel disco sono tutti opera di Banks e Rutherford e quindi del nucleo storico della band. Inoltre sono quasi tutti incentrati sul tema dell’isolamento e del fanatismo, raggiungendo dei notevoli picchi in brani come Uncertain Weather e One Man’s Fool, brano tristemente premonitore del fenomeno del terrorismo che di lì a poco sarebbe esploso. L’insuccesso di Calling All Stations va piuttosto ricercato nell’uscita di scena di un personaggio istrionico come Phil Collins e nel cambio radicale di programmazione radiofonica di quegli anni che tagliò dai palinsesti band considerate vetuste come i Genesis impedendo alle nuove leve di conoscere la loro musica.