09/02/2021

La storia del prog secondo Fabio Rossi

Un bignami progressive giunto alla seconda edizione
Quando il rock divenne musica colta: è la chiave di lettura – oltre che il sottotitolo – di Storia del prog, il libro di Fabio Rossi di nuovo in libreria in una rinnovata seconda edizione, da Chinaski a Officina di Hank. Avevamo incontrato l’autore romano sei anni fa, ai tempi del primo libro: dopo i lavori su Rory Gallagher e ELP, Rossi torna al libro al quale è più legato, definito il “bignami del prog”. Facciamo qualche riflessione a caldo con Fabio.
 
Bignami, bignamini o bigini, i compendi agevoli ed elastici sono da sempre di grande utilità per la consultazione e la ricerca di nozioni fondamentali in modo rapido. Storia del prog è stato apprezzato proprio per questo: ha senso un approccio del genere in tempi “liquidi” in cui la velocità di circolazione del sapere è impressionante?
Devo all’amico Alessandro Staiti, noto saggista e grande esperto dell’universo crimsoniano, l’accezione “bignami del prog” accostata al mio primo libro Quando il Rock divenne musica colta: Storia del Prog, uscito nel 2015 per la casa editrice genovese Chinaski. Scrisse quell’illuminante frase nell’ambito di una sua brillante recensione al saggio e talmente mi piacque che l’ho poi inserita sul retro copertina della recentissima seconda edizione curata da Officina di Hank (nuova incarnazione della Chinaski).
Alessandro mi ha fatto sempre i complimenti per aver saputo sintetizzare nel migliore dei modi le vicende di un genere musicale così immaginifico e complesso come il Prog. Il mio scopo, d’altronde, era quello di raccontare con parole semplici ai giovani e ai neofiti la nascita, l’evoluzione, la crisi e la resurrezione di un modo di concepire musica libero da qualsiasi legame concettuale, così da oltrepassare i confini canonici e “progredire” verso lidi sconosciuti. Ero convinto che il solito taglio troppo saccente ed enciclopedico avrebbe fatto fallire il mio obiettivo. I giovani hanno bisogno di districarsi in scioltezza nell’ambito di un mondo così astruso e mancava un buon libro che parlasse loro con spontaneità. Quando su Amazon Italia il saggio raggiunse la prima posizione tra gli e book musicali più venduti nella categoria “ragazzi”, compresi che ero riuscito nell’impresa. Tutto ciò fermo restando che anche i cosiddetti veterani del prog hanno tutti, tranne qualche rara eccezione, acclamato il mio lavoro (oltre 3.000 copie vendute) apprezzato persino al Conservatorio di Santa Cecilia in Roma, dove il 27 febbraio 2017 ebbi l’onore di presentare ai numerosi studenti presenti la mia storia del Prog. Non solo ha senso un approccio simile ma è forse l’unico modo per convincere un giovane d’oggi che un tempo c’era una musica fantastica e che se si sa cercare esiste ancora!
 
Il prog che racconti è quello dell’epoca d’oro, dal 1969 al 1974. Qual è stato il segreto di quella musica in un’epoca così ricca e generosa di novità?
Ho cercato di descrivere tutte le fasi che hanno portato all’esplosione del prog avvenuta il 10 ottobre 1969 con la pubblicazione di In the Court of the Crimson King (sottotitolato An Observation by King Crimson), debut album dei King Crimson. Ho raccontato l’incredibile avventura dei giovani di allora che tra il 1969 e il 1975 hanno sfornato una quantità enorme di dischi di elevatissima qualità. L’avvento del punk, new wave e della disco music ha preso poi a spallate l’intero mondo del rock e la sua forma più evoluta, il progressive per l’appunto, è collassato su se stesso. Il segreto del perché in quegli anni formidabili si sia prodotta così tanta musica colta è racchiuso nell’inarrestabile creatività dei musicisti che potevano sbizzarrirsi a sperimentare in piena libertà con il consenso delle case discografiche. Oggi tutto questo sarebbe utopistico perché non sembrano esserci più “territori inesplorati” (spero di sbagliarmi) e le major puntano deliberatamente al mainstream e non alla ricerca evolutiva (qui non mi sbaglio di sicuro!).
 
Per comodità di esposizione e narrazione, oggi racchiudiamo nel calderone progressive gruppi che in realtà erano piuttosto distanti tra di loro: basta ricordare le dichiarazioni di Bill Bruford a proposito della diversità tra King Crimson, Yes e Genesis. A tuo avviso cosa invece accomunava questi gruppi ma anche ELP, Jethro Tull e Gentle Giant?
Se pensiamo che anche i Kraftwerk vengono inclusi nel progressive e che sono in molti a sostenere che Pink Floyd, Jethro Tull e persino i King Crimson non sono prog, ci rendiamo conto che non esistono confini predefiniti per questo genere musicale.  A mio parere è una questione anche stucchevole. Ci sono gruppi che nel corso della loro carriera hanno cambiato più volte stile; prendiamo ad esempio i Genesis che da alfieri del prog si sono buttati nel “mainstream” tra l’altro con grande classe. Detto questo, è ovvio che ci siano diversità nell’interpretare il progressive anche tra le varie formazioni storiche perché ognuna ha delle inclinazioni particolari che le differenziano. Gli ELP sono più propensi alla musica classica, i Jethro preferiscono il folk, i Genesis il romanticismo, i Soft Machine il jazz, ma tutti ricadono nel medesimo movimento.
 
Una peculiarità dell’esperienza progressive è stata la fioritura di scuole nazionali, dalla Germania all’Italia: come mai ha attecchito così bene anche in mercati periferici?
Il prog nasce in Gran Bretagna ma si è diramato in tutto il mondo e, in particolare, in Italia e in Germania con forme anche molto originali. Gente come il Banco, Le Orme e la PFM erano stimatissime oltremanica per la qualità eccelsa della loro musica. Il mondo aveva bisogno di aprirsi alla creatività ed è per questo che il prog ha attecchito dappertutto, anche se in alcuni luoghi come l’America ci ha messo più tempo. Oggi trionfa il minimalismo e la banalità e la musica colta fatica a emergere… ma c’è! In Italia ci sono artisti di spicco che aspettano di essere scoperti!  Alcuni nomi: Barbara Rubin, Ellesmere, Il Segno del Comando, Barock Project, Alchem, La Fabbrica dell’Assoluto, Secret Tales, Eveline’s Dust… e mi fermo altrimenti li elenco tutti!
 
Un argomento di cui si dibatte spesso è la fine del genere, in quel complicato biennio 75-76. A distanza di tanto tempo, che idea ti sei fatto?
Come tutti i movimenti artistici c’è un inizio e c’è una fine. Forse la risposta è semplice. In Italia, oltre che al punk, la new wave e la disco, è stato l’avvento delle radio private l’elemento aggiuntivo che ha prodotto la crisi delle suite e dei concept album perché si preferiva trasmettere brani di breve durata; è cominciato così il disinteresse per il prog preferendo soluzioni artistiche più immediate.
 
Sei un appassionato estimatore di heavy metal, genere che ha mostrato molti punti di contatto con il prog, già da prima dei Dream Theater. Quanto è stato importante l’avvento del prog-metal negli anni ’90?
Amo moltissimo l’heavy metal e, infatti, il mio quarto libro in uscita approderà su quei lidi perché racconterò la storia dei Bathory. Non c’è sottogenere che non abbia approfondito in vita mia (thrash, epic, death, grind, black, nu metal) e naturalmente apprezzo tantissimo il prog metal la cui importanza nello sviluppo della musica moderna è enorme. Ragazzi, come si fa a non emozionarsi di fronte alla magnificenza di Images and Words dei Dream Theater, Operation: Mindcrime dei Queensrÿche o Lateralus dei Tool… Solo un sordo potrebbe rimanere insensibile!
 
Chiusura drastica: tre dischi prog che porterai con te sull’isola deserta…
Di getto: Selling England by the Pound dei Genesis, Emerson, Lake & Palmer degli E.LP.  e The Yes Album degli Yes…
 

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