28/01/2022

Sulle note di un veliero: gli Osanna secondo Franco Vassia

Iacobelli pubblica un emozionante libro sulla storica band napoletana
Cinquant’anni fa, sul palco del Festival Pop di Caracalla, un quintetto coi lunghi sai e i volti dipinti rivoluzionava il rock italiano. Il resto lo avrebbe fatto L’uomo, uno dei più potenti e suggestivi dischi d’esordio della storia del rock tricolore. Parliamo degli Osanna, che celebrano il loro cinquantennale con un nuovo album – Il diedro del Mediterraneo – e un docufilm – Osannaples – di M Deborah Farina. Non può mancare anche un libro, se ne occupa un cronista prog navigato e sensibile come Franco Vassia, che mette al centro della narrazione la figura poliedrica, dai numerosi risvolti artistici e politici, di Lino Vairetti. Ne parliamo con l’autore.
 
Franco, nel 1971 sul palco di due festival gloriosi (Caracalla Pop e Viareggio) e con un disco-terremoto come L’uomo, gli Osanna cominciarono la loro rivoluzione. A mezzo secolo da quel debutto, qual è il lascito di Lino Vairetti e compagni?
Gli Osanna, a modo loro, sono stati sicuramente dei rivoluzionari. Per certificarlo sarebbe sufficiente il loro totale rifiuto verso il mondo della “canzonetta”. La loro capacità è stata quella di aver saputo centrifugare la musica di quel tempo, di averla vivisezionata al punto tale da renderla un corpo quasi estraneo. Come una folata improvvisa, la psichedelia entrava dalla porta principale abbattendo la sottile membrana che la separava dal progressive rock, un termine, al tempo, erroneamente definito pop. Espressività, testi calibrati su valori talvolta ancestrali, una rabbia che mutava pelle e irrorava sangue nuovo nelle vene. Il lascito di Lino e dei suoi nuovi compagni – dopo cinquant’anni – equivale a un sasso lanciato in uno stagno, le cui onde concentriche tentano disperatamente di non farlo diventare palude.
 
Ho usato non a caso il termine “compagni” vista la militanza della band e in particolare di Danilo Rustici – celebre la sua rivisitazione elettrica di Bandiera Rossa. Tu hai sempre dato una lettura politica al rock e nello specifico al progressive: che tipo di approccio “impegnato” hanno avuto gli Osanna nella loro musica?
Parlare di “compagni” nel progressive rock sa quasi di bonaria bestemmia. Sono infatti pochissimi i musicisti che hanno avuto il coraggio di esporsi. La militanza politica appartiene semmai al cantautorato colto che comunque, fatti salvi pochi nomi, non è che fosse poi quel vero e proprio covo di rivoluzionari. Sono troppi coloro che, piuttosto che accarezzare l’impegno socio-politico, hanno preferito scrutare il proprio conto in banca. In molti dei libri e degli articoli che ho scritto, ho sempre cercato di far viaggiare due strade parallele, la musica da una parte e la storia sociale&politica dall’altra: un fondale immaginifico sul quale è possibile tratteggiare sia note che parole. Con L’Uomo, e poi con Palepoli, gli Osanna hanno saputo dipingere quadri immortali con i colori del mondo.
 
Inevitabile parlare di Napoli, visto che gli Osanna sono stati gli iniziatori di un rinnovamento della musica partenopea. Inizialmente hanno preso le distanze dalla dimensione simbolica della “canzonetta”, poi progressivamente hanno fatto pace con quell’eredità. Quale Napoli hanno rappresentato e rappresentano gli Osanna?
Napoli, per gli Osanna, è sangue caldo e cenere, storia antica e catene, civiltà e involuzione. Dapprima furtivamente ma poi sempre più alla luce del sole, Napoli per gli Osanna è diventata un monolite, soprattutto negli ultimi lavori dove, con cura e amore Lino, dal profondo dei pozzi, ha attinto la sua cultura popolare.
 
Osanna, arte, performance, teatro rock. C’è una linea di continuità che parte da Arthur Brown e arriva ai Genesis – poi ad Alice Cooper, o i Kiss – ma passa inevitabilmente dagli Osanna. Qual è stato il significato della loro vena pittorica e scenografica?
C’è una parte nel libro che cerca di risolvere questo quesito. È pur vero che Gabriel & Co. si avventurarono nei camerini mentre loro si stavano truccando, ma chi può dire che tutto sia partito da lì? A stupire gli Osanna, in precedenza, era stato proprio Arthur Brown, in un concerto tenuto a Napoli. La loro bravura, più che una gara di piazzamenti, è stata quella di capitalizzare quell’immagine teatrale e scenica fino a farla diventare una prestigiosa icona.  
 
Insieme a PFM, Banco, Area e Orme, gli Osanna compongono il quintetto d’oro del prog nostrano. Ognuno di questi gruppi ha una sua identità musicale e contenutistica: che tipo di interpretazione al prog hanno offerto Lino e i suoi?
Al gruppo ci aggiungerei anche i New Trolls che, con i loro Concerti Grossi, hanno rappresentato un’immagine assolutamente distintiva nel settore. Magari al posto degli Area: ritengo che la loro musica sia difficile da etichettare e che le pareti del progressive risultino loro particolarmente strette. Premiata Forneria Marconi, Banco del Mutuo Soccorso, Orme e Osanna sono i capisaldi di quello che più volte ho definito un “Nuovo Rinascimento Musicale”. Gli Osanna, a differenza degli altri, hanno giocato su più fronti: nella loro scacchiera si sono via via schierate diverse influenze musicali, dal rock di maniera alla musica classica, dal jazz al blues, pedine necessarie e logiche per dare una forma anarchica e autarchica al loro modo di intendere il progressive rock.
 
Il libro racconta la storia del gruppo attraverso la vita e l’opera del fondatore. Lino Vairetti non si è mai fermato, sia in anni difficili come gli ’80, sia nell’ultimo ventennio con la ripresa del marchio Osanna. Che ruolo pensi si sia ritagliato nel panorama rock nostrano?
La grande forza di Lino è quella di essere un artista totale: musicista, paroliere, scultore, grafico, con una ulteriore predisposizione per il ruolo di attore. Una personalità talmente poliedrica che non conosce confini. Insieme a pochi altri, Lino rappresenta un simbolo di quel tempo. Dopo alcuni decenni spesi su altri lidi, ha capito che era necessario tornare a riva per riaggomitolare la sua storia, renderla balsamo per i sognatori e aggiornarla per nuovi adepti.  
 
Vorrei un tuo commento sul capolavoro del 1973 Palepoli, e Suddance del 1978. Il primo è adorato anche all’estero, il secondo uscì in un periodo difficile ma ha goduto di una autentica riscoperta negli anni.
Credo che, ancora più de L’uomo, Palepoli sia stato il vero propellente per il volo dell’astronave Osanna. Un disco composto da due lunghe suite dove si amalgamavano storia e leggenda, tradizione, influssi e influenze mediterranee. Con Suddance gli Osanna hanno chiuso la parabola iniziata con L’uomo. Pur essendo un disco godibilissimo, si avverte l’usura della band. Negli anni, Ce vulesse e ‘A zingara rivivranno di nuova luce e di grande energia ma, al tempo, hanno segnato quella che virtualmente viene definita la chiusura del cerchio.    
 
Gli Osanna negli anni di Spotify. A partire dal ritorno con Taka Boom non si sono mai fermati e in questo periodo è uscito Il diedro del Mediterraneo. C’è continuità con gli anni ’70 o si tratta di un’altra esperienza?
Donato, mi permetti una digressione? Spotify? Mi faccio vanto di non sapere neppure che cosa sia. Non amo la musica liquida, così come non amo la musica che si scarica per un archivio al quale difficilmente poi ci si metterà mano. Amo il disco, l’oggetto. Questo non perché io soffra di disposofobia ma perché ritengo che la musica sia arte e come tale vada trattata, così come nello stesso modo andrebbero trattati i musicisti e non umiliandoli con un’elemosina di pochi centesimi. Credo sia un po’ diverso possedere il quadro di un pittore famoso piuttosto che andarlo a vedere nel web. Così come credo che anche la rinascita dei long playing non sia nient’altro che una bieca operazione commerciale. Non si vendono più dischi? E allora perché non spillare quattrini ai 50enni/70enni, gli unici che spendono ancora per la musica? Nuove riedizioni stampate su macchinari di cinquant’anni fa e rigenerati al meglio, però col vinile colorato. E perché non tornare allora ai 78 giri o alle musicassette? I casi sono due: o ci hanno presi per i fondelli con il cd oppure lo stanno facendo adesso.
In quanto agli Osanna si tratta certamente di una nuova esperienza. Una scommessa giocata su un campo particolarmente minato. E che alla lunga la scommessa sia stata vinta, lo dimostra Il diedro del Mediterraneo, un’operazione totalmente differente dalle varie ristampe, cofanetti, ricchi premi & cotillons impigliati sui bancali di Amazon. Ho ragione di credere che la musica, così come ogni forma d’arte, vada difesa, tutelata, rispettata e protetta. Dobbiamo renderci conto che non tutto deve per forza diventare un oggetto da masticare e da sputare.
 

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