20/10/2024

Tom Petty secondo Mauro Zambellini e Marco Denti

Intervista a uno dei due coautori dell’unico libro in Italia interamente dedicato al singer-songwriter americano

 

Lo scorso 1° ottobre, un giorno prima che ricorressero i sette anni dalla sua scomparsa, abbiamo dedicato una delle nostre Music Room a Tom Petty che potete rivedere qui e nell’occasione avevamo coinvolto anche Mauro Zambellini, coautore, insieme a Marco Denti, dell’unico libro in Italia interamente dedicato al singer-songrwriter americano: Tom Petty. Da Elvis a Dylan e Johnny Cash, un’altra idea di America. L’innocenza del rock’n’roll.

Per ragioni legate alla durata della trasmissione, non è andato in onda tutto quello che ci aveva raccontato Mauro Zambellini, e allora oggi, 20 ottobre, giorno in cui ricorrono i settantaquattro anni dalla nascita di Tom Petty, vi proponiamo l’intervista per intero, partendo ovviamente dal suo libro uscito per ShaKe Edizioni, con cui peraltro aveva già pubblicato nel 2021 The Allman Brothers Band – I Ribelli del Southern Rock.

All’interno del loro lavoro Zambellini e Denti tracciano un profilo di Tom Petty senza seguire un mero ordine cronologico delle tappe fondamentali della sua vita, ma facendo una disamina completa della sua musica e del suo approccio alla stessa, parlando degli artisti che l’hanno influenzato e di come sia riuscito a rigenerare il rock’n’roll e tanta altra musica nata prima o dopo a suo modo e con un suo stile originale che ha fatto scuola. I due autori del libro hanno anche intervistato lo stesso Tom Petty, in occasione dell’uscita di Wildflowers, e l’ultimo capitolo del loro lavoro è dedicato proprio a questo incontro che ovviamente ci ha raccontato qui anche lo stesso Mauro Zambellini.

 

La musica, soprattutto in quegli anni, era in continua evoluzione e a un certo punto, nel 1976, esce il primo album di Tom Petty, Tom Petty and the Heartbreakers.

Fu singolare l’esordio di Tom Petty perché uscì durante l’ondata emergente del punk che stava facendo piazza pulita del rock che c’era stato prima, da Van Morrison ai Rolling Stones a Bob Dylan ecc. E fu singolare quell’esordio anche per la copertina del primo album perché Tom Petty era ritratto con un ghigno sardonico, il chiodo nero di pelle, la cartucciera da guerrigliero addosso… e la stampa si affrettò a etichettarlo come un nuovo musicista punk. In realtà lui rifiutò sempre questa definizione, perché veniva dal passato, lo rispettava e lo incamerava nella sua eccentricità e nella sua personalità, ridistribuendo il tutto in una nuova versione. Non si sarebbe mai sentito punk, tant’è che durante alcune interviste, una volta arrivò addirittura a dire che avrebbe tagliato la gola al prossimo giornalista che avrebbe definito punk lui e/o la sua musica. Questo per dire che Tom Petty non era certo uno stinco di santo, ma faceva valere la sua cifra stilistica e il suo background ricchissimo perché si andava da Elvis a Bob Dylan e Johnny Cash.

 

Visti gli artisti che hai appena citato, spiegaci il sottotitolo del libro.

Lui ha un background che si rifà apertamente al passato e alla classicità del rock’n’roll: bastano alcuni nomi come Byrds, Bob Dylan, i singer-songwriter degli anni ’70, ma anche gli anni ’50 erano nel suo cuore con Del Shannon, Roy Orbison… nella sua carriera ha dimostrato con la sua musica e con il suo talento, perché è proprio il caso di parlare di talento, di essere alla pari con gli artisti che lo hanno maggiormente influenzato. È stato accettato dal Gotha del rock e del blues, anche perché ha lavorato con Johnny Cash, ha suonato con Bob Dylan, ha prodotto dischi per Chris Hillman e per Del Shannon e quindi è stato un personaggio a tutto tondo che è riuscito a integrare le sue influenze con i maestri con cui peraltro ha collaborato. Ed è per questo che il sottotitolo del libro è Da Elvis a Dylan e Johnny Cash, un’altra idea di America. L’innocenza del rock’n’roll, perché Tom Petty rappresenta un po’ quello che per noi fan di questa musica ha rappresentato il rock’n’roll: una musica che dava sicuramente gioia, energia, divertimento, ma aveva in sé una sorta di purezza che lui ha mantenuto in tutta la sua vita.

 

Tom Petty è uno che non ha mai mollato ed è stato il collante tra più generazioni del rock’n’roll” si legge nel tuo libro, ma anche, nell’ultimo capitolo dell’intervista a lui, di cui parleremo dopo: “Tom Petty è una sorta di anello di congiunzione tra leggende del rock’n’roll come Roy Orbison e Bob Dylan e l’atteggiamento delle nuove generazioni“.

Sì. Quando era ancora un ragazzino e non un musicista, la prima cosa che abbagliò Tom Petty fu Elvis Presley, perché suo zio aveva l’incarico di trovare la location in Florida del film Follow That Dream e portò il nipote sul set di questo film: Tom Petty rimase folgorato da Elvis; non lo conosceva ancora musicalmente perché era un ragazzino, ma lo vide come una persona che emanava luminosità, trascendenza… tanto che quando tornò a casa scambiò la sua fionda con alcuni 45 giri di Elvis e da lì iniziò la sua passione, il suo amore per il rock’n’roll. Un altro momento fondamentale per Tom Petty fu la celebre esibizione dei Beatles all’Ed Sullivan Show. Poi da lì sarebbe arrivato tutto il resto.

Lui “viene dal passato”, ma ad esempio negli ultimi anni ha prodotto anche delle giovani band di rock’n’roll di Los Angeles che fanno parte dell’ultima generazione di questo genere. Un nome? Gli Shelters. Ha ereditato dal passato tutta una serie di idiomi, quindi da un certo punto di vista non ha inventato niente, però ha aggiunto una eccentricità, una fantasia e un’attitudine tali per cui questa musica è diventata uno stile, lo stile di Tom Petty… che a sua volta ha poi influenzato anche generazioni di attuali rocker che suonano avendo in mente la sua musica e il suo atteggiamento.

 

Ovviamente grande merito del suo successo va anche alla band che l’ha sempre accompagnato, gli Heartbreakers.

Certo, una band che è durata dal primo album del 1976 fino alla sua morte avvenuta nel 2017, con una commistione di spirito, di idee e di atteggiamenti, tali per cui certe volte era impossibile distinguere dove finiva Tom Petty e iniziava la band e viceversa. E questo è stato uno degli elementi della sua grande forza che ha espresso soprattutto nei concerti dal vivo.

 

A proposito di live, tu lo hai visto in concerto, magari anche in Italia nelle rare volte in cui è venuto?

In Italia purtroppo ha suonato poche volte, una nell’87 a Modena come band di accompagnamento di Bob Dylan, nonché come gruppo di apertura, poi è venuto a Lucca nel 2012 e basta. Non ha coltivato il suo personaggio dalle nostre parti come ha fatto ad esempio Bruce Springsteen, venuto più volte da noi in varie tappe delle sue interminabili tournée, e quindi questo giustifica il fatto che Tom Petty in Italia non sia conosciuto quanto meriti.

L’ho visto in Italia tutt’e due le volte. Il concerto di Lucca fu fantastico, Piazza Montenapoleone era piena di fan e in apertura c’era Jonathan Wilson, altro ottimo musicista e rocker californiano. Poi Tom Petty fece un concerto meraviglioso. Il concerto a cui sono più legato purtroppo non l’ho visto in Italia, ma risale all’estate del luglio 2017 ad Hyde Park a Londra, anche perché Tom Petty morì pochi mesi dopo: quello fu un concerto straordinario, forse uno dei più grandi concerti rock che abbia mai visto nella mia vita, pur essendo Tom Petty già afflitto dai suoi problemi di salute; nonostante tutto, riuscì a portare a termine un live fantastico, grazie anche alla sua band e in quel concerto c’era di tutto: c’erano gli inizi della sua carriera e poi le ballate con il vento in poppa verso l’ovest con tutto quello che c’era e che c’è nella musica di Tom Petty e che ancora adesso è un piacere ascoltare.

C’è da togliere tanto di cappello perché quell’anno ha portato a termine la tournée del 40° anno di carriera, nonostante tutte le difficoltà del caso. È la dimostrazione di una sorta di eroismo rock’n’roll che non è facile trovare poi in tanti.

Quello del 2017, forse anche perché, come ti dicevo, è un concerto al quale assistetti pochi mesi prima della sua scomparsa, è un ricordo indelebile, un po’, per quanto riguarda la mia “carriera di fan del rock”, come il live che vidi nel 1977 a Londra dei Little Feat o quello del 1981 a Zurigo di Bruce Springsteen: sono tra i concerti che si ricordano per una vita intera.

 

E da qui allora arriviamo a quando tu e Marco Denti avete intervistato Tom Petty. Ti chiedo di parlare proprio di come è avvenuto l’incontro, momento che peraltro raccontate anche nel libro, partendo dal presupposto che come dicevi poco fa e come scrivete all’interno del vostro lavoro: “Siamo e restiamo fan e appassionati, prima di tutto“.

Posso considerarmi ancora un fan e un appassionato, oltre che di Tom Petty, di tanti altri artisti, ed è il motivo per cui ho scritto il libro, non certo per sopperire a un buco letterario-musicale che c’era in Italia. Quell’intervista ebbe luogo nel 1994, quando Tom Petty venne in Italia non per un concerto, ma per la promozione di uno dei suoi album più belli, Wildflowers, che tra l’altro uscì senza la dicitura Tom Petty and the Heartbreakers, ma solo come Tom Petty, come se fosse un album da songwriter e basta. Io e Marco Denti, l’altro autore del libro, facevamo parte di una piccola schiera di giornalisti che ebbero il privilegio di intervistarlo. Il tutto avvenne in un hotel di Milano, il Four Season, e noi fummo gli ultimi a fare la nostra intervista. Eravamo lì per per la rivista per cui scrivevamo al tempo, il Mucchio Selvaggio, e a un certo punto, quando fu il nostro turno, entrammo in questa stanza. Tom Petty era molto disinvolto con i suoi jeans, una camicia a quadri fuori dai jeans e le scarpe da tennis e iniziammo a parlarci. Io avevo portato una valigia con tutti i suoi dischi, compresi i bootleg. A un certo punto iniziammo a parlare del più e del meno e io non avevo ancora aperto la valigia. Dopo un po’ di domande, soprattutto riguardanti Wildflowers, entrò nella stanza il road manager per dire che avevamo ancora pochi minuti, visto che loro avevano una coincidenza aerea con Parigi dove avrebbero fatto un altro giro di interviste a scopo promozionale. Tom Petty fece finta di niente e a un certo punto mi chiese cosa avessi in quella valigia. Io la aprii e tirai fuori tutti gli album che avevo, cioè, come ti dicevo, tutta la sua discografia più qualche bootleg. Ovviamente ero un po’ timoroso che lui potesse dire qualcosa sui bootleg e invece li guardò e mi chiese delle informazioni, per poi lasciarsi scappare che non aveva niente contro le registrazioni private, a meno che non fossero delle cattive registrazioni… per cui non avevo nulla da temere perché non erano affatto di cattiva qualità. A quel punto pensavamo che il nostro incontro fosse finito e che saremmo passati agli autografi, da fan e appassionati quali siamo prima di tutto, e invece lui ci esortò a fare altre domande anche sui dischi precedenti. Noi, molto sorpresi da questa disponibilità, continuammo il nostro lavoro e a un certo punto entrò di nuovo nella stanza il road manager che con fare un po’ seccato disse a Tom Petty che l’intervista doveva finire, perché rischiavano di perdere l’aereo. In quel momento lo stesso Tom Petty lo guardò e con molta franchezza gli disse: “Manda avanti pure i bagagli, io prendo un taxi e vi raggiungo. Devo parlare ancora con questi ragazzi. Hanno comprato tutti i miei dischi”. Noi ci guardammo sorpresi e quell’episodio fu l’ennesima dimostrazione della signorilità e dell’etica di Tom Petty che poi ha manifestato in tutto il suo lavoro.

 

Bene. In questi giorni si parla tanto di Tom Petty anche per una nuova edizione deluxe di Long After Dark, album che nel libro descrivete con queste parole: “‘Long After Dark’ ha il solo torto di essere uscito dopo due dischi eccezionali e non suscitò l’entusiasmo, almeno alle nostre latitudini, dei due dischi precedenti (‘Damn The Torpedoes’ e ‘Hard Promises’, ndr), ma è un album formidabile, stringato, secco, rollingstonesiano con tutte le sfumature del caso“.

È un album che funziona benissimo ancora oggi, perché è un album elettrico, molto rock’n’roll, lì ho usato il termine rollingstonesiano, ma c’è una ballata, A Wasted Life, che si rifà invece al genere E Street Band con tutto il suo pathos romantico ed emotivo. Il fatto che non fosse stato tanto lodato al tempo dalla critica è anche suffragato dal fatto che rispetto ai due album precedenti non fu registrato in un colpo solo con ore e ore e giorni e giorni di registrazione, ma ebbe una genesi iniziale, poi Tom Petty dovette fermarsi per produrre l’album di Del Shannon e poi ritornò in studio con gli Heartbreakers, quindi non è un continuum come i due album precedenti. E c’è anche il fatto che, nella tournée successiva alla pubblicazione dell’album, Tom Petty presentò soltanto quattro canzoni di Long After Dark, che poi divennero addirittura due nell’appendice americana, come a dire che non fosse così tanto soddisfatto del lavoro svolto. Io ovviamente adesso non conosco il punto di vista dell’artista, anche perché purtroppo non c’è più, però posso dire che è un album che funziona ancora adesso, anzi forse funziona di più adesso che al tempo. “Ebbe il torto”, detto proprio tra virgolette, di essere uscito dopo due capolavori.

Da non dimenticare il pezzo che trainava l’album, You Got Lucky, anche per la trovata di non fare un semplice video che accompagnasse il brano, ma di creare una sorta di short movie con un prologo prima di poter ascoltare la musica. Nemmeno Michael Jackson aveva ancora fatto una cosa simile. Il video ovviamente fu trasmesso da MTV, che era nata relativamente da poco, e contribuì alle vendite dell’album.

 

Ultima domanda: ci sono album, oltre ai “soliti” più celebrati, che ti va di consigliarci?

La discografia di Tom Petty è molto ampia. Ci sono state recentemente delle pubblicazioni postume di cui una soprattutto consiglio, Live at the Fillmore 1997, un cofanetto di 4 CD dove Tom Petty con i suoi Heartbreakers è in scena nel 1997 al Fillmore di San Francisco: qui in pratica, oltre ai suoi pezzi, passa in rassegna tutti i brani che hanno influenzato la sua musica e quindi ci sono pezzi dei Byrds, canzoni di Bob Dylan, pezzi dei Rolling Stones, brani di rock’n’roll anni ’50, addirittura Goldfinger, brano usato come colonna sonora in uno dei più famosi film di James Bond. In pratica è un compendio, un riassunto, oltre che della musica di Tom Petty and The Heartbreakers, di tutto il rock’n’roll che ci ha fatto appassionare e ci ha fatto innamorare.

Copertina del libro di Marco Denti e Mauro Zambellini - Tom Petty. Da Elvis a Dylan e Johnny Cash, un’altra idea di America. L’innocenza del rock'n'roll.

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