25/04/2022

Un libro sulla legislazione dello spettacolo e il diritto d’autore in musica: intervista ad Alceste Ayroldi

Un manuale per gli artisti e per addetti ai lavori edito da Arcana e scritto dal critico musicale, saggista e docente di music business e legislazione

Il diritto d’autore è una materia di cui spesso non si conoscono nemmeno i più semplici aspetti e gli stessi musicisti e addetti ai lavori fanno fatica a barcamenarsi in tale ambito legislativo. Per non parlare poi di tutte le costanti novità tecnologiche degli ultimi anni, spesso molto più veloci delle leggi che fanno fatica ad adeguarsi ai tempi che cambiano. Il diritto d’autore è insomma da sempre materia complessa e oggetto di studio ed è anche l’argomento affrontato da Alceste Ayroldi nel suo nuovo libro La legislazione dello spettacolo e il diritto d’autore delle opere musicali. Critico musicale, saggista e docente di music business e legislazione presso il Master del Saint Louis College di Roma, la University of the West of Scotland (Italy Campus) e il Berliner Hochschule für Technik (università statale di Berlino), Ayroldi ha intervistato tanti artisti di fama internazionale, tra cui Pat Metheny, George Benson, David Bowie, Ringo Starr, Santana, Brian Ferry, Billy Cobham, Enrico Rava, Paolo Fresu, Stefano Bollani, Danilo Rea, Richard Galliano, Dhafer Youssef, Carl Palmer, Brad Mehldau, Trilok Gurtu e John McLaughlin. L’autore del nuovo volume, edito da Arcana, collabora da anni con la rivista Musica Jazz, con Jazzitalia e altre riviste, è poi coordinatore artistico del Multiculturita Europe Contest e consulente di diverse realtà musicali italiane.
Tanti sono allora inevitabilmente i discorsi e gli spunti che sono venuti fuori in questa nostra intervista ad Alceste Ayroldi.

Definisci il tuo nuovo libro come “un manuale per gli artisti e per addetti ai lavori”. Com’è nata l’idea?
È nata da un’esigenza: insegnando e dovendo procurarmi il materiale per le lezioni e per creare delle dispense, mi sono reso conto che non c’erano libri aggiornati sul tema. C’erano sicuramente tanti libri bellissimi, ma un po’ datati. Allora i miei stessi allievi mi hanno detto: “Prof., ma perché non scrive lei un libro sulla materia?”… e allora eccoci qua!

Il libro è suddiviso in due parti.
Sì, nella prima parte affronto un po’ tutta la contrattualistica, il lavoro, si spiega cos’è la scrittura artistica, come scegliere la forma con cui intraprendere l’impresa nell’ambito del settore dello spettacolo in generale e della musica in particolare, come si crea una casa discografica, cosa serve per creare un luogo per fare musica dal vivo…
Nella seconda parte mi occupo invece del diritto d’autore nelle opere musicali e anche quindi di diritto d’immagine, diritti connessi e quant’altro insomma. Prendo in esame la legge n. 633 del 1941 e purtroppo non ho potuto prendere in esame la direttiva sul copyright perché il libro era già in stampa; è quello il mio rammarico, anche se, con tutti gli emendamenti che ci dovrebbero essere, sarei ancora in alto mare con l’uscita del libro (ride, ndr).
Si tratta comunque di una materia in continua evoluzione e io ho cercato soltanto di dare un timone sia ai musicisti già in carriera, ma anche e soprattutto a chi è più giovane e si approccia allo spettacolo e al mondo della musica.

Riprendendo proprio questo tuo discorso, è “una materia in continua evoluzione” perché è la tecnologia ad evolversi sempre più velocemente ed è difficile procedere di pari passo?
Sicuramente, anche se dobbiamo tenere conto di una cosa: la nostra normativa, la legge n. 633 del 1941, e anche il resto dell’apparato legislativo hanno subito una decisa modifica di volta in volta con le nuove tecnologie, ma sono scritte in maniera eccellente, nel senso che lo scheletro è facilmente adattabile. È proprio una prerogativa della legge italiana, in base anche all’interpretazione che ne può essere fatta e all’applicazione analogica di altre norme, visto che i contratti del settore dello spettacolo sono tutti contratti atipici, quindi non previsti espressamente nel codice civile; anche le tecnologie hanno trovato un adattamento all’interno dello scheletro normativo, ma tanto ancora si deve e si può fare, soprattutto per far sì che i diritti dei musicisti siano pienamente soddisfatti e non debbano soccombere di fronte ai colossi delle piattaforme streaming. I diritti non sono solo diritti di natura patrimoniale, ma sono diritti di natura morale, quantomeno per la legislazione italiana.

All’estero è diversa la situazione? Tutti gli artisti si lamentano delle percentuali corrisposte per le visualizzazioni su YouTube e per gli ascolti tramite streaming considerate troppo basse e anche alcuni tra i più grandi o tra i più famosi hanno venduto i propri cataloghi alle case discografiche (Bob Dylan, Bruce Springsteen, David Crosby ecc.).
A questo proposito dobbiamo fare una distinzione, perché in Italia e in altri paesi europei come Francia, Belgio, Spagna, Germania ecc. si applica il diritto d’autore, i paesi angloamericani applicano invece generalmente il copyright, dove il principio in sintesi è che tutto ha un prezzo: se io pago, posso ottenere tutto e quindi della tua musica posso fare ciò che voglio. Si sono tolti dagli impicci in questo modo su cosa farne della propria musica e hanno intascato grandi somme di denaro. Da noi si può fare lo stesso discorso per quanto riguarda lo sfruttamento dei diritti patrimoniali, ma la legge prevede delle tempistiche e quindi oltre i vent’anni non si può andare e non si può procedere a titolo definitivo. C’è una maggiore protezione dell’interprete e dell’esecutore che andrebbe comunque migliorata e poi c’è una maggiore protezione dell’autore e del compositore che non potrà mai perdere completamente la propria opera, né può disfarsene completamente, salvo che non intenda ritirarla dal commercio.

SIAE e Soundreef: spiegaci in breve cosa è cambiato anche dal punto di vista della tutela del diritto d’autore. Come si sono posti gli artisti rispetto a questa novità? Hanno trovato “più conveniente” l’una o l’altra?
Io penso che la maggiore “convenienza” che uno dovrebbe andare a verificare in quel momento sia chi mi tutela e come mi tutela. Ritengo anche che Soundreef sia un’ottima collecting society, così come SIAE ha la sua importanza nazionale e quindi non si discute. All’inizio l’avvento di Soundreef era stato accolto con maggior entusiasmo, mentre ora se ne parla meno: forse l’impeto dei primi tempi del tipo “finalmente è arrivato il concorrente della SIAE” è svanito. Questo accade perché si vede la SIAE un po’ in generale come il cittadino italiano vede lo Stato, come se fosse cioè un nemico o quantomeno una persona con cui doversi relazionare non perché sta tutelando i miei diritti, ma perché sta lì per “darmi fastidio” e mi fissa dei paletti; invece non dovremmo vedere la SIAE in questo modo, ma dovremmo vederla come un ente con cui relazionarci e che tutela i nostri diritti, così come Soundreef. Certo, c’è una certa farraginosità anche in merito all’applicazione delle regole e dei regolamenti anche dal punto di vista amministrativo in SIAE, cosa che invece è più semplificata in Soundreef, però entrambi operano a tutela dell’autore e del compositore e poi dell’interprete e dell’esecutore come tutto l’apparato legislativo. Probabilmente con Soundreef manca un interlocutore fisico, anche se ci siamo abituati a tutto online, figuriamoci se non ci possono inviare tutta una documentazione online, anzi questo può essere più un vantaggio che uno svantaggio.

Nel tuo libro citi anche Ladri di canzoni di Michele Bovi (Hoepli, 2019). Lui, nell’introduzione al suo volume, ipotizzava tra le soluzioni per risolvere le questioni legate al plagio una sorta di “commissione” da istituire apposta. Tu come la vedresti?
La vedrei di buon occhio. Parlando dell’Italia, il plagio da noi viene giudicato in maniera semplicistica per quanto riguarda le canzoni che appartengono al novero della musica pop, per come cioè viene considerato un certo tipo di musica nel nostro Paese: sembra che nella popular music il plagio sia ritenuto un atto quasi dovuto, perché si pensa che, essendo spesso molto semplice scrivere un brano pop con tre o quattro accordi, allora può verificarsi più facilmente il plagio. Purtroppo c’è solo un giudice a dover giudicare che si deve avvalere ovviamente di un consulente tecnico d’ufficio, scelto dagli albi che sono presenti nei tribunali, formati perlopiù da docenti del Conservatorio che provengono spesso dalla musica classica, persone con una visione molto più complessa e strutturata della musica; invece una giuria composta da più persone, e quindi più orecchie e più possibilità di fare una ricerca più accurata, sarebbe la soluzione migliore per giudicare il plagio, sempre più una costante dei nostri tempi, perché viviamo in un momento di crisi d’identità culturale e molti “si rifanno” a sonorità che appartengono a qualche anno fa o addirittura a qualche decennio fa.

Qualcosa l’hai già accennata, ma quali pensi siano i maggiori problemi ancora irrisolti nell’ambito del diritto d’autore? Quali pensi siano più urgenti?
Il problema principale da risolvere, quantomeno in Italia perché non lo abbiamo mai risolto, è quello del musicista in quanto professionista: dobbiamo smetterla di considerare il musicista come un giullare o un saltimbanco, visto che la musica è un lavoro a tutti gli effetti. Bisogna creare una maggiore consapevolezza che esiste tutto un mondo, un indotto anche di operatori del settore che vivono e potrebbero vivere meglio e far vivere meglio tanta gente, se venisse loro riconosciuta un’identità professionale. Soprattutto, per fare questo, secondo me bisognerebbe convincere i musicisti che devono essere “ordinati”, devono essere inquadrati cioè in un ordine inteso come una professione: così come esiste l’ordine dei medici, degli ingegneri, degli avvocati e di altre professioni, dovrebbe esserci un ordine dei musicisti, cosicché si possa riconoscere loro la professionalità e delle tariffe professionali adeguate, minime e massime, rispetto a quella che è la loro richiesta sul mercato; non posso corrispondere gli stessi emolumenti all’artista famoso e al Carneade della situazione, ma posso creare tariffe o tabelle che siano di orientamento anche per gli organizzatori, soprattutto per i live club.
Con l’ordine dei musicisti io non vado a ledere nessuno, ma anzi vado a riconoscere una professionalità e una tutela in modo da avere riconoscimenti economici anche in tempi di carestia come al tempo del Covid, in modo da non dover più piangere lacrime amare dinanzi alla porta del politico di turno.

Ultima curiosità al di là del tuo nuovo libro: hai intervistato tanti artisti anche internazionali da giornalista/critico musicale. Un aneddoto che ci puoi raccontare o che ricordi con piacere?
Ce ne sono tanti che ho avuto il piacere di intervistare e di conseguenza sono anche tanti gli aneddoti. Ricordo sempre con piacere l’intervista a David Bowie. Ero agitato quella volta perché per me era ed è un idolo senza tempo e non è mai morto. Durante l’intervista inizialmente lo chiamavo “Mr. Bowie” e lui ha detto “Please, call me David”… e a quel punto mi sono sciolto…

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