Prog e Storia. Prog è Storia.
A oltre mezzo secolo di distanza dalla sua nascita, il rock progressivo è ampiamente storicizzato e sistemato. Questo anche grazie alla poderosa letteratura in materia, composta da numerosissimi libri che hanno affrontato il fenomeno da diversi punti di vista. Che si tratti di biografie di artisti e gruppi, di volumi collettivi che narrano la nascita e lo sviluppo del genere, di testi su singole scene, panorami o nazionalità, possiamo essere soddisfatti da una abbondante bibliografia, sia italiana che straniera. Non mancano le autobiografie ufficiali, i libri-intervista, i saggi dal taglio storico e musicologico, gli approfondimenti sulle connessioni con le altre arti.
La domanda da porsi è un’altra. Come raccontare oggi il progressive? A fronte della mole di informazioni così accessibile e tangibile, da quale posizione partire? Mike Barnes, autorevole figura di studioso e divulgatore della materia dalle colonne di Mojo e PROG, fa una scelta di campo: racconta la storia del prog confinandola a un momento temporale preciso – gli anni ’60 e ’70 – e a un luogo specifico – l’Inghilterra. Questo rende Storia del progressive rock (uscito in UK due anni fa con titolo A New Day Yesterday) inevitabilmente parziale.
Anche se il grosso del fenomeno è costituito dal contributo britannico dato proprio nel periodo storico prescelto, è anche vero che alla peculiarità del prog – sia in termini di connotazione di genere che di ampiezza e continuità nel tempo – hanno partecipato anche le scene nazionali e che la persistenza del sogno è andata avanti anche grazie ai gruppi attivi dagli anni ’80 fino ad oggi. Tanto per fare nomi exempli causa, l’assenza di Magma, PFM, Area, Rush, Samla Mammas Manna, Can, Omega, oppure dei più “recenti” Marillion, Finisterre, Isildurs Bane, Echolyn, Dream Theater e The Mars Volta, taglia di fatto dal racconto ampie porzioni territoriali e cronologiche che hanno lavorato con forza all’affermazione e alla salvaguardia del genere.
Affrontando il libro come esclusiva storia del prog inglese le cose cambiano, e si rivela un lavoro più che dignitoso soprattutto nei contenuti: graficamente piacevole e non disturbante, è arricchito da dichiarazioni di prima mano dei protagonisti che danno vivacità e corposità, da approfondimenti paralleli (es. la politica e i media, il costume e il sesso, le art school di cui si parla ancora troppo poco), da temi e nomi liminali che sono spesso esclusi da queste trattazioni, pensiamo a Roxy Music, la scena freak londinese, il folk barocco.
Il tallone d’achille è nella assenza di sequenzialità e in alcune scelte che ne derivano. Barnes opera secondo un’ottica prettamente giornalistica, non da storico, quindi la vicenda procede per gruppi, non secondo una linea temporale, penalizzando la comprensione. Un esempio è la collocazione dei Moody Blues a metà libro e addirittura dei pionieri Procol Harum, Traffic e Family nel trentunesimo capitolo (l’ultimo è il quarantadue); si arriva ai Gentle Giant solo dopo aver affrontato gli altri gruppi, compresi gli esponenti della seconda fase di Canterbury o gli Henry Cow.
Storia del progressive rock è un libro sostanzialmente valido ma consigliabile a chi ha già un’infarinatura in materia.
A oltre mezzo secolo di distanza dalla sua nascita, il rock progressivo è ampiamente storicizzato e sistemato. Questo anche grazie alla poderosa letteratura in materia, composta da numerosissimi libri che hanno affrontato il fenomeno da diversi punti di vista. Che si tratti di biografie di artisti e gruppi, di volumi collettivi che narrano la nascita e lo sviluppo del genere, di testi su singole scene, panorami o nazionalità, possiamo essere soddisfatti da una abbondante bibliografia, sia italiana che straniera. Non mancano le autobiografie ufficiali, i libri-intervista, i saggi dal taglio storico e musicologico, gli approfondimenti sulle connessioni con le altre arti.
La domanda da porsi è un’altra. Come raccontare oggi il progressive? A fronte della mole di informazioni così accessibile e tangibile, da quale posizione partire? Mike Barnes, autorevole figura di studioso e divulgatore della materia dalle colonne di Mojo e PROG, fa una scelta di campo: racconta la storia del prog confinandola a un momento temporale preciso – gli anni ’60 e ’70 – e a un luogo specifico – l’Inghilterra. Questo rende Storia del progressive rock (uscito in UK due anni fa con titolo A New Day Yesterday) inevitabilmente parziale.
Anche se il grosso del fenomeno è costituito dal contributo britannico dato proprio nel periodo storico prescelto, è anche vero che alla peculiarità del prog – sia in termini di connotazione di genere che di ampiezza e continuità nel tempo – hanno partecipato anche le scene nazionali e che la persistenza del sogno è andata avanti anche grazie ai gruppi attivi dagli anni ’80 fino ad oggi. Tanto per fare nomi exempli causa, l’assenza di Magma, PFM, Area, Rush, Samla Mammas Manna, Can, Omega, oppure dei più “recenti” Marillion, Finisterre, Isildurs Bane, Echolyn, Dream Theater e The Mars Volta, taglia di fatto dal racconto ampie porzioni territoriali e cronologiche che hanno lavorato con forza all’affermazione e alla salvaguardia del genere.
Affrontando il libro come esclusiva storia del prog inglese le cose cambiano, e si rivela un lavoro più che dignitoso soprattutto nei contenuti: graficamente piacevole e non disturbante, è arricchito da dichiarazioni di prima mano dei protagonisti che danno vivacità e corposità, da approfondimenti paralleli (es. la politica e i media, il costume e il sesso, le art school di cui si parla ancora troppo poco), da temi e nomi liminali che sono spesso esclusi da queste trattazioni, pensiamo a Roxy Music, la scena freak londinese, il folk barocco.
Il tallone d’achille è nella assenza di sequenzialità e in alcune scelte che ne derivano. Barnes opera secondo un’ottica prettamente giornalistica, non da storico, quindi la vicenda procede per gruppi, non secondo una linea temporale, penalizzando la comprensione. Un esempio è la collocazione dei Moody Blues a metà libro e addirittura dei pionieri Procol Harum, Traffic e Family nel trentunesimo capitolo (l’ultimo è il quarantadue); si arriva ai Gentle Giant solo dopo aver affrontato gli altri gruppi, compresi gli esponenti della seconda fase di Canterbury o gli Henry Cow.
Storia del progressive rock è un libro sostanzialmente valido ma consigliabile a chi ha già un’infarinatura in materia.