Ognuno ha il suo modo di leggere un libro. C’è chi lo centellina e chi lo sbrana. Chi lo analizza chirurgicamente pagina dopo pagina e chi lo affronta in modo disordinato, alla rovescia, saltando di capitolo in capitolo senza ordine. Quest’ultimo non è forse il modo migliore, ma è così che ho divorato Su Claudio Jonta. Cantautore.
Avevo un motivo personale per farlo, ma anche uno ambientale. Un viaggio in treno da Piombino, con un libro del quale si parlava da tempo, scritto da Covergreen e pubblicato da Il Foglio. Negli anni di collaborazione con l’associazione piombinese, che porta avanti senza sosta il suo progetto di mostre ed eventi sul mondo della cover-art, avevo sempre sentito parlare di Claudio Jonta, della sua giovinezza, delle sue canzoni. Un testo su di lui, anche se incentrato su una figura di artista dalla vita breve e dal piccolo lascito di canzoni, era doveroso.
La lettura disordinata che ho volutamente dato è avvenuta in sintonia con lo spirito del lavoro: una sorta di fermo-immagine collettivo, un album di ricordi condivisi tra amici e colleghi che hanno vissuto insieme a lui uno scorcio di musica, politica e società nei caldi anni ’70. Caldi anche in una cittadina di provincia, un po’ defilata, ma la storia delle musiche in Italia è sempre avvenuta così: dove meno te lo aspetti, da una Pordenone punk del Great Complotto a una Catania elettrica negli anni ’90, lo Stivale ti stupisce.
Occhi grandi e languidi, laurea in architettura con rifiuto politico della lode, militanza e musica, utopie e un pugno di canzoni, una vita strappata troppo presto, nel 1979, a causa di un’emorragia cerebrale: Claudio Jonta è narrato – con passione, malinconia, schiettezza – attraverso aneddoti privati, esperienze pubbliche e una selezione di foto, testi, manoscritti e appunti. Un buon modo per avviare la riscoperta di un cantautore.
Avevo un motivo personale per farlo, ma anche uno ambientale. Un viaggio in treno da Piombino, con un libro del quale si parlava da tempo, scritto da Covergreen e pubblicato da Il Foglio. Negli anni di collaborazione con l’associazione piombinese, che porta avanti senza sosta il suo progetto di mostre ed eventi sul mondo della cover-art, avevo sempre sentito parlare di Claudio Jonta, della sua giovinezza, delle sue canzoni. Un testo su di lui, anche se incentrato su una figura di artista dalla vita breve e dal piccolo lascito di canzoni, era doveroso.
La lettura disordinata che ho volutamente dato è avvenuta in sintonia con lo spirito del lavoro: una sorta di fermo-immagine collettivo, un album di ricordi condivisi tra amici e colleghi che hanno vissuto insieme a lui uno scorcio di musica, politica e società nei caldi anni ’70. Caldi anche in una cittadina di provincia, un po’ defilata, ma la storia delle musiche in Italia è sempre avvenuta così: dove meno te lo aspetti, da una Pordenone punk del Great Complotto a una Catania elettrica negli anni ’90, lo Stivale ti stupisce.
Occhi grandi e languidi, laurea in architettura con rifiuto politico della lode, militanza e musica, utopie e un pugno di canzoni, una vita strappata troppo presto, nel 1979, a causa di un’emorragia cerebrale: Claudio Jonta è narrato – con passione, malinconia, schiettezza – attraverso aneddoti privati, esperienze pubbliche e una selezione di foto, testi, manoscritti e appunti. Un buon modo per avviare la riscoperta di un cantautore.