10/02/2022

“Genesis. Dalla A alla Z”: a colloquio con Francesco Gazzara

Il nuovo libro Odoya approfondisce con un nuovo taglio la storica band
Un team di autori pop. Era questa l’idea iniziale, quella che frullava nella testa di Peter Gabriel e Tony Banks ai primi tempi, quando erano ancora collegiali in cerca di musica da fare insieme. Ed è, mutatis mutandis, a questo spirito che Francesco Gazzara si è rifatto realizzando Genesis. Dalla A alla Z (Odoya), il nuovo libro che scompone la lunga storia del gruppo osservandola dal punto di vista – e di ascolto – dei singoli membri.
I lettori di Jam conoscono Gazzara per il suo passato con l’omonima band acid-jazz ma anche per il suo amore verso i Genesis, che si è manifestato con album di rivisitazioni azzeccate. Stavolta l’autore entra nella materia non più con i tasti, ma con la penna.
 
La letteratura in materia Genesis, soprattutto in Italia, è da sempre abbondante. Non è un caso visto che la prima fiammata di popolarità avvenne proprio qui da noi. Il tuo nuovo libro però ricostruisce la loro vicenda da un nuovo punto di vista: quale?
L’idea alla base del libro è abbastanza diversa da quelle finora conosciute. Benchè nel titolo richiami la forma tradizionale di un dizionario enciclopedico la novità è nell’approccio alternativo, direi quasi modulare, offerto al lettore. Per una volta non c’è la solita storia cronologica che parte dalla Charterhouse e si snoda nelle infinite ramificazioni discografiche. Al suo posto c’è la possibilità per chi legge di saltare liberamente da una lettera all’altra tra le 26 di ciascun capitolo/alfabeto a sua volta dedicato a uno dei cinque elementi della formazione classica: Banks, Collins, Gabriel, Hackett, Rutherford.
In altre parole se ci si annoia con i dettagli tecnico-musicali delle progressioni armoniche di Tony Banks si può riprendere il libro dalla carriera cinematografica di Phil Collins, oppure si può saltare a piè pari alle vicissitudini live del primo Peter Gabriel solista. O ancora tornare a indagare sul debutto del sintetizzatore Arp Pro-Soloist in Selling England By The Pound per poi passare, ad esempio, al racconto della lunga storia d’amore – non dichiarata per diversi anni – tra Mike e Angie Rutherford.
 
Proviamo a entrare nei profili di questa mappatura, partendo da quello che considero “l’uomo Genesis”, ossia Tony Banks. Da tastierista, deve essere stato interessante per te entrare nella sua storia così centrale. 
In realtà l’interesse per Tony Banks, più che per l’ovvia influenza che ha sempre avuto su di me come autore e tastierista, è cresciuto a dismisura con gli anni quando ho lentamente realizzato che in lui c’è la quintessenza di quello che possiamo chiamare il “suono Genesis”. Si tratta di qualcosa che va oltre la timbrica degli strumenti e che coinvolge soprattutto le invenzioni armonico-melodiche che rendono le composizioni – anche quelle scritte non soltanto da lui – subito riconducibili alla band. Ecco perché Banks, il primo dei cinque nel libro per ordine alfabetico, è anche quello a cui ho dedicato più spazio, insieme a Rutherford. In fondo questi due sono la spina dorsale dei Genesis, gli unici ad aver preso parte – scrivendo e suonando – a tutti gli album del gruppo. Nel bene o nel male, le decisioni più importante le hanno sempre prese Tony e Mike.
 
Dall’altra parte c’è Phil Collins. Estroverso, poliedrico, brillante come batterista – a mio avviso uno dei più musicali dell’epoca – e determinante come uomo di palco e di comunicazione. Non solo un “singing drummer”, giusto?
Certamente la definizione di “singing drummer” è riduttiva per un artista del suo calibro. I paragrafi più storici del suo dizionario all’interno del libro rivelano una personalità unica tra i cinque Genesis, soprattutto se pensiamo che il suo incontro con la band nel 1970 viene in qualche modo “voluto” proprio da lui in occasione dell’incontro in un club londinese col discografico Tony Stratton-Smith. Collins aveva ormai preso sul serio la carriera di batterista – dopo un’adolescenza passata anche sui palchi dei musical e davanti le telecamere – e la sua attività con i Flaming Youth, vista in retrospettiva, poteva effettivamente lanciarlo un attimo prima del suo ingresso nella band con cui registrò subito Nursery Cryme. Per fortuna incontrò i Genesis ma, leggendo il libro, lo si trova realizzato e compiuto come artista anche in altre realtà musicali: da quella jazz-rock dei Brand X alle colonne sonore per i film di animazione Tarzan e Brother Bear.
 
Mike Rutherford è stato il fine tessitore degli anni ’70, l’uomo pop con i Mechanics, il borghese della Charterhouse, signorile e distaccato. Qual è stato il suo ruolo in tanti anni di storia genesisiana?
C’è solo un momento, nel libro come nella carriera dei Genesis, in cui lo stesso Rutherford fa una rivelazione coraggiosa, che la dice lunga sul suo ruolo nel gruppo. Nonostante avesse diviso dal primo all’ultimo album dei Genesis lo scettro di manovratore delle scelte della band insieme a Banks, in realtà l’abbandono di Phil nel 1996 e il successivo album senza Collins, Calling All Stations, sono stati per Mike un segnale d’allarme: in quel momento si è reso conto che lui e Tony, senza il collante del batterista-cantante, non sono poi così vicini musicalmente. Ebbene, questa rivelazione è davvero fulminante, in quanto nei Genesis la complementarità assoluta di Rutherford e Banks è evidente in ogni album del gruppo. Basta però dare uno sguardo alla sua attività in studio ma soprattutto dal vivo con i Mechanics per capire che l’anima rock’n’roll dei Genesis, quella che aveva condiviso già con gli Anon alla Charterhouse insieme al suo grande amico Anthony Phillips, è incarnata proprio da Mike.
 
Steve Hackett è arrivato nel 1971 ed è uscito nel 1977, ha militato di meno nel gruppo ma ne ha fortemente caratterizzato suono e personalità, e ancora oggi è il più fedele allo spirito “classico” dei Genesis. Eppure è autore di album solisti decisamente più eclettici rispetto a quelli dei suoi ex colleghi.
L’ingresso di Hackett nella band, avvenuto in punta di piedi e anche traumatico nei suoi ricordi del primo concerto in assoluto con i Genesis, è fondamentale per capire come le prime composizioni del gruppo fossero dei meccanismi da orologeria dove gli arrangiamenti prevedevano degli incastri così particolari che solo un approccio sopraffino come il suo poteva supportare. Si è parlato più volte del poco spazio dato a Steve e in particolare di una certa avversità da parte di Tony Banks verso le sue proposte di canzoni. Eppure basta vedere un vecchio filmato di The Musical Box suonata dal vivo – o anche uno recente dove la suona lo stesso Hackett o addirittura la celebre cover band canadese che si chiama proprio come la canzone dei Genesis – per capire che sono proprio gli incastri di cui sopra a renderla un capolavoro e il modo in cui interagiscono tra pause e momenti di puro frastuono sia la chitarra che le tastiere (spesso a imitazione proprio delle sei corde elettriche) rivela una simbiosi assoluta, in quel periodo, anche tra Tony e Steve.
L’eclettismo di Hackett è evidente poi nei suoi album solisti, uno dei primi a citare elementi di musica cajun, brasiliana e cubana in un disco di prog, per non parlare della sua più recente discografia che è un costante giro del mondo. Tornando al suo rapporto con Banks, ti rivelo una cosa che non ho messo nel libro sia per motivi di tempo sia per la richiesta della fonte di non essere citata. Pare che tra i primissimi brani proposti da Tony nella prima reunion dei Genesis del 2007 ci fosse nientemeno che Blood On The Rooftops, scritta da Hackett e Collins, cavallo di battaglia del chitarrista nei suoi concerti solisti e mai eseguita dal vivo dal gruppo madre.
 
Peter Gabriel mette in difficoltà chi vuole definirlo. Preferisco limitarmi presentandolo come una delle eminenze grigie del panorama rock. Era prevedibile questo suo status così alto quando era “solo” il cantante dei Genesis?
Il dizionario di Peter Gabriel nel libro traccia lentamente la sua personalità enigmatica, attraverso alcuni paragrafi fondamentali per capire l’uomo oltre che il grande artista. Penso a quello sul padre Ralph Parton o a quello sulla prima moglie Jill Moore. Lo status “alto” del cantante inizia a percepirsi durante la gestazione di The Lamb Lies Down On Broadway e ovviamente i suoi colleghi sono i primi ad accorgersene con un certo disagio. Prima di allora il personaggio era imprevedibile e bizzarro, a volte anche incomprensibile ma assolutamente attraente e magico focalizzatore di energia intorno a sé. Una volta fuori dal gruppo, a parte gli inizi difficoltosi di una carriera solista che ripartiva volutamente da una comunicazione più semplice e diretta, Peter spicca finalmente il volo e non parliamo soltanto di realizzazione artistica. Il paragrafo dedicato a The Elders, il suo progetto che unisce alcune delle più celebri teste pensanti del pianeta da Mikhail Gorbaciov a Jimmy Carter, per citarne due ancora vivi, rimane esemplare nel corredo delle molteplici attività extra-musicali del primo cantante dei Genesis.
 
Gruppo equilibrato e “orizzontale” negli anni ’70, ma anche caso più unico che raro di trampolino di lancio per carriere soliste straordinarie, basta pensare a quella rivoluzionaria di Peter e quella milionaria di Phil. Tu affronti entrambi i versanti: secondo te i cinque rimpiangono l’epoca d’oro di Selling England e The Lamb?
In fondo lo stesso motore del libro, oltre all’idea del dizionario dalla A alla Z, è proprio la constatazione che i cinque protagonisti vantano un record difficilmente riscontrabile in altre band dell’epoca o di simile lustro: i loro primi album solisti rimangono scolpiti nella storia musicale dei Genesis, conservandone in gran parte l’assoluta qualità. Non solo, a questi possiamo aggiungere anche il debutto solista di Anthony Phillips – a cui peraltro parteciparono sia Rutherford che Collins – raggiungendo un totale di sei album che oggi non sfigurano affatto accanto a quelli della band di provenienza. E tutto ciò nonostante una notevole differenza stilistica tra il primo debutto, Voyage Of The Acolyte di Steve Hackett (1975) e l’ultimo, quello di Phil Collins col fortunatissimo Face Value (1981).
Circa il rimpianto per l’epoca d’oro, propenderei più per Selling England come album che accontenti ancora oggi tutti e cinque, benchè l’entusiasmo di Hackett non sia forse identico a quello di Banks, per fare due esempi.  Circa invece The Lamb, pur essendo stato l’oggetto di una probabile reunion a cinque poi abortita nel 2005, quest’album rimane una ferita aperta nel gruppo, un ricordo che, sia per la difficoltà di esecuzione dal vivo sia per il momento delicato in cui venne scritto e registrato, è vissuto in maniera diversa da ogni elemento dei Genesis. Pensiamo solo all’importanza del concept visivo e testuale che gli può dare Gabriel e, all’opposto, al divertimento provato da Collins nel suonare la batteria con le influenze jazz-rock del periodo. Nel mezzo ci sono gli evidenti ostacoli riconosciuti da Rutherford – la debolezza della storia, a suo avviso – e da Banks, spesso critico sulla quantità di testi scritti dal cantante sulle parti strumentali già registrate dalla band.
 
Hai citato en passant Anthony Phillips, ma i Genesis sono stati anche lui, Daryl Stuermer, Chester Thompson e Ray Wilson. Semplici comprimari o elementi determinanti in questa lunga storia?
Nel primo caso non si può parlare di semplice comprimario. Quando Ant decise di non continuare con la band all’indomani del secondo album Trespass – afflitto non solo da una mal celata fobia da palco ma da uno stato fisico piuttosto precario per via di una mononucleosi che si ripresentava regolarmente – i Genesis rischiarono seriamente di sciogliersi. Nei ricordi di Banks e Rutherford – già nel 1970 decisivi nella scelta di proseguire – l’abbandono del primo chitarrista fu più grave di quello, annunciato da tempo ai colleghi, di Peter Gabriel alla fine del tour di The Lamb.
Passando invece agli altri nomi, la storia dei Genesis rispettati performer anche presso le enormi platee americane, prima ancora dei loro successi discografici planetari della metà degli anni ’80, passa obbligatoriamente per le corde di Daryl Stuermer e i tamburi di Chester Thompson. Pur non avendo un dizionario dedicato a loro all’interno del libro, i due comprimari americani sono spesso presenti all’interno dei paragrafi grazie al loro rapporto con i Genesis più noti al mondo, quelli della formazione a tre in studio, che loro hanno accompagnato insieme esclusivamente dal vivo  dal 1978 al 2007 (l’unica parentesi senza i due gregari insieme rimane quella del Calling All Stations Tour del 1998).
Eccoci infine proprio a Ray Wilson, il cantante scozzese scelto da Tony e Mike per andare avanti senza Phil: il suo ruolo sarebbe sicuramente stato determinante se i Genesis avessero trovato la forza di continuare a scrivere canzoni con quella nuova formula. Evidentemente, a parte l’indubbia qualità di molte canzoni contenute in Calling All Stations, il dietrofront di Banks e Rutherford era davvero inevitabile per la mancanza di quel collante-Collins a cui si accennava prima.
 
I Genesis sono stati narrati da tanti scrittori, in Italia e all’estero, e da tanti osservatori, a volte anche privilegiati. Credi sia stato detto tutto su di loro o ci sono zone d’ombra ancora da illuminare?
Già il fatto che i cinque protagonisti di questa storia così particolare siano così diversi tra loro indica che non può esistere un biografo universale che li conosca anche privatamente tutti e cinque allo stesso modo. Altrimenti ci basterebbero già i libri di Armando Gallo e di Richard Macphail, che per motivi professionali hanno viaggiato e vissuto accanto ai Genesis di quella formazione. Lo stesso Mario Giammetti, che si è occupato per anni in modo encomiabile alla materia, riesce a scovare nuove zone d’ombra e nodi da sciogliere in ogni suo nuovo libro dedicato ai Genesis e ciò significa che da illuminare c’è sicuramente ancora tanto.
 

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