“Voglio dire, come compito, in un certo senso, fa ridere per quant’è facile. Stai facendo una selezione di 90 minuti di tutta la musica del mondo. È chiaro che potresti farlo ogni singolo anno della tua vita e sarebbero comunque tutti grandi dischi”. Sono dichiarazioni di Tim Ferris, scrittore e giornalista scientifico che è stato anche redattore di Rolling Stone, e che soprattutto, è stato il produttore del Voyager Golden Record. Le sue parole si riferiscono infatti al disco contenuto nelle sonde Voyager 1 e Voyager 2: un modo per descrivere in sintesi la Terra attraverso 90 minuti di musiche, immagini, saluti in varie lingue del mondo e addirittura tramite un messaggio dell’allora presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter rivolto agli alieni… sempre nel caso in cui manifestino in qualche modo la loro esistenza e soprattutto sempre che esistano davvero. Le due sonde contenenti il disco furono fatte decollare nel 1977 dalla Nasa dalla base di Cape Canaveral al fine di comunicare con altre eventuali forme di vita presenti all’interno del cosmo.Jonathan Scott ha voluto raccontare la storia delle due navicelle, che tuttora vagano nello spazio, in Mixtape Interstellare. La storia del Voyager Golden Record, libro pubblicato in Italia da Jimenez. Il critico musicale inglese è anche un grande appassionato di astronomia e ha ricostruito le vicende del progetto Voyager attraverso materiale dell’epoca, interviste ai superstiti del team che lo aveva realizzato e i libri di Carl Sagan, l’astronomo al quale fu affidato il compito di “costruire” fisicamente il messaggio delle sonde. Tra i principali artefici del Voyager Golden Record ci sono anche l’astrofisico Frank Drake, l’artista Linda Salzman Sagan, la regista Ann Druyan e l’etnomusicologo Alan Lomax.
Una storia già di per sé affascinante, se si pensa già soltanto al nobile intento di volersi descrivere dinanzi a chi la Terra non la abita e non la conosce assolutamente: come possiamo immaginare di fissare su un disco di 90 minuti i nostri molteplici sentimenti e stati d’animo in maniera semplice e comprensibile, consegnando allo stesso tempo un pezzo di storia agli alieni che sia efficace anche dopo migliaia di anni? Dopo altri tentativi precedenti, tra cui quelli delle sonde Pioneer inviate nel 1972 e nel 1973, tramite il progetto Voyager quest’idea è stata ampliata e realizzata concretamente e nel libro si narrano proprio le sue vicende – prima, durante e dopo – spesso con i toni del romanzo, rendendo il racconto ancor più appassionante.
Una storia già di per sé affascinante, se si pensa già soltanto al nobile intento di volersi descrivere dinanzi a chi la Terra non la abita e non la conosce assolutamente: come possiamo immaginare di fissare su un disco di 90 minuti i nostri molteplici sentimenti e stati d’animo in maniera semplice e comprensibile, consegnando allo stesso tempo un pezzo di storia agli alieni che sia efficace anche dopo migliaia di anni? Dopo altri tentativi precedenti, tra cui quelli delle sonde Pioneer inviate nel 1972 e nel 1973, tramite il progetto Voyager quest’idea è stata ampliata e realizzata concretamente e nel libro si narrano proprio le sue vicende – prima, durante e dopo – spesso con i toni del romanzo, rendendo il racconto ancor più appassionante.
Per quanto riguarda la musica, si possono ascoltare Mozart, Bach, Beethoven, ma anche Johnny B. Goode di Chuck Berry, Dark Was The Night, Cold Was The Ground di Blind Willie Johnson… e perché ad esempio non ci sono i Beatles? Nel libro Jonathan Scott si sofferma anche su questi aspetti in maniera molto dettagliata.
“La cosa che mi preoccupava davvero è che se il risultato non fosse stato spettacolare avremmo fatto una pessima figura, considerando la semplicità del compito” (Tim Ferris).